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Chiesa

Anche i profughi sono figli di Dio

Tutti gli uomini, nessuno escluso, sono figli di Dio. Anche i profughi? Sì, anche i profughi. E tutti – e ciascuno di loro – devono chiedere perdono a Dio. Al loro Dio. E’ il senso della Festa del Migrante celebrata a Udine, dalle quattro diocesi della regione insieme.

Tutti gli uomini, nessuno escluso, sono figli di Dio. Anche i profughi? Sì, anche i profughi. E tutti – e ciascuno di loro – devono chiedere perdono a Dio. Al loro Dio. E’ il senso della Festa del Migrante celebrata a Udine, dalle quattro diocesi della regione insieme. Festa che si è originata, nella mattinata, dall’attraversamento della Porta Santa in cattedrale. In testa l’arcivescovo mons. Andrea Bruno Mazzocato e, insieme a lui, l’arcivescovo mons. Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste; uniti spiritualmente mons. Redaelli di Gorizia e mons. Pellegrini di Pordenone. Claudio Malacarne, direttore dell’Ufficio diocesano dei migranti, ha spiegato il significato essenzialmente spirituale di questo appuntamento, il primo a livello regionale. I rappresentanti delle 50 comunità cattoliche presenti in Friuli Venezia Giulia, vestiti con i loro abiti tradizionali, hanno pregato e cantato nelle diverse lingue del mondo. L’arcivescovo Mazzocato si è soffermato, nell’omelia, sul significato del perdono e della riconciliazione, da chiedere soprattutto in questo anno giubilare, sollecitando la conversione dei cuori all’amore e osservando che i problemi di oggi che angustiano il popolo migrante sono il risultato di una società e, quindi, di politiche che non rispettano questi principi. Mazzocato ha ricordato il dramma di coloro che fuggono dalle proprie terre e che rischiano perfino la vita per cercare la libertà. Molti, in duomo, hanno pregato anche perchè non si chiudano i confini; preoccupano, addirittura, i maggiori controlli che da domani potrebbero insistere sul confine di Tarvisio. Dopo la concelebrazione, i migranti hanno attraversato la città dio Udine per andare a pranzo e, quindi, ad un incontro, in via Treppo, presso l’Università, dove a musiche e canti si sono alternate significative testimonianze di sofferenza ma anche di speranza.

Di  seguito il testo integrale dell’omelia:

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Papa Francesco ha fatto dono alla Chiesa cattolica dell’Anno santo della Misericordia e ha offerto la possibilità di ottenere l’indulgenza giubilare non solo a Roma, in una delle quattro basiliche papali, ma anche nella cattedrale della propria diocesi e in altre chiese scelte dal vescovo. Sono certo che molti di voi hanno già partecipato con la parrocchia in cui vivono a qualche pellegrinaggio e celebrazione per l’Anno santo. 

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Noi vescovi delle quattro diocesi della Regione Friuli Venezia Giulia abbiamo, però, pensato che una giornata dell’Anno giubilare fosse dedicata, in particolare, agli immigrati cattolici. Voi avete accolto il nostro invito ed eccoci qui riuniti nella cattedrale di Udine, cari fratelli e sorelle immigrati cattolici provenienti dalle diocesi di Trieste, Gorizia, Pordenone e Udine; riuniti con i sacerdoti  che vi seguono e con altri cristiani italiani e friulani che partecipano a questa Santa Messa. Come vescovo di Udine vi accolgo a nome anche degli altri confratelli vescovi che non hanno potuto essere con noi fisicamente, ma lo sono col cuore e la preghiera.

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Perché abbiamo voluto una giornata giubilare dedicata alle comunità degli immigrati cattolici? Per mostrare che la misericordia di Dio, che Gesù ha portato in mezzo a noi, ci unisce tutti. 

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Nel racconto del Vangelo abbiamo sentito da dove è partita la misericordia di Dio. È partita da Nain dove Gesù si è commosso davanti ad una mamma vedova che portava il figlio unico alla sepoltura. Gesù si è fermato accanto a lei e le ha detto: «Non piangere»; poi, con il suo amore onnipotente le ha restituito vivo il figlio strappandolo alla morte, il male che nessun uomo può sconfiggere. La misericordia di Dio è partita da Gerusalemme, da Gesù crocifisso e dal suo Sacro Cuore che ha diffuso sul mondo l’Amore capace di vincere il peggior male che può rovinare l’uomo: il male dell’anima. La nostra anima si ammala, cari fratelli e sorelle, il cuore si ammala. E la malattia si chiama odio, vendetta, invidia, egoismo, smania di avere sempre di più, fastidio e rabbia verso le persone che abbiamo vicini, indifferenza verso chi soffre. L’unica medicina che guarisce questi pericolosi mali dell’anima è l’amore e Gesù ha messo l’amore stesso di Dio nel cuore di chi crede in lui. Ha avuto misericordia di noi, come ha avuto misericordia della povera vedova di Nain e col battesimo ha messo nel nostro cuore lo Spirito Santo che è lo Spirito dell’amore di Dio. 

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Grazie alla predicazione del Vangelo Gesù ci ha raggiunto e toccato con la sua misericordia qui in Friuli, come in Albania, Romania, Ucraina, Polonia, Africa, Asia, America latina. Questo è il motivo per cui oggi ci troviamo riuniti tutti attorno al suo altare a vivere questa S. Messa, pur venendo da tante nazioni e continenti. 

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Anche se abbiamo lingue, colori della pelle e luoghi di nascita diversi, tutti abbiamo un cuore; tutti – lo confessiamo con sincerità – abbiamo un cuore almeno un po’ malato di egoismo, avarizia, indifferenza, diffidenza. In questo siamo veramente uguali e per questo sentiamo di poter pregare assieme l’unico medico che è Gesù  perché ci guarisca e ci doni un cuore nuovo in questo Anno santo della Misericordia.

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mploriamo, come tanti poveri del Vangelo: «Signore Gesù, abbi pietà di noi». Sappiamo, infatti, che quando un uomo ha l’anima malata, il suo male si diffonde attorno a lui. Contribuisce ad ammalare anche la sua famiglia, gli amici, le persone che incontra, tutta la società.

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Guardando a voi non possiamo, ad esempio, non pensare ad uno dei mali che ogni giorno abbiamo sotto gli occhi; sono tutti quegli uomini, donne e bambini che fuggono dalla loro terra cercando rifugio altrove a prezzo di rischi enormi, spesso della stessa vita. 

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Che cosa causa tanta disperata sofferenza se non una grave malattia che infetta oggi l’anima della nostra società? Essa si chiama voglia di potere politico ed economico, odio razziale e religioso, rifiuto del diverso, indifferenza verso il dolore altrui. Questa malattia del cuore oscura anche l’intelligenza di chi è chiamato o a porre rimedio alle ondate di vittime che fuggono e si trova, invece, a balbettare deboli soluzioni. 

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Accogliamola proprio adesso aprendo il cuore alla preghiera e ricevendo Gesù in noi nella S. Comunione. Usciremo di chiesa con più gioia nel cuore, la gioia della misericordia».

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