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Borgo Stazione, non vinca la paura

Presentate oggi (giovedì 5 gennaio) 1500 firme per chiedere un controllo più capillare di Borgo Stazione, il quartiere più frequentato dalla centinaia di richiedenti asilo accolti dalla città di Udine. L’opinione e il sentire della gente merita sempre rispetto, specie nei casi, come questo, in cui l’iniziativa si dichiara e vuole apertamente rimanere lontana da strumentalizzazioni politiche. Tuttavia alcune considerazioni e domande ai promotori si impongono. Le ho poste anche alla conferenza stampa, ma non ho ricevuto sostanzialmente risposta e quindi le rilancio sul web.

Presentate oggi (giovedì 5 gennaio) 1500 firme per chiedere un controllo più capillare di Borgo Stazione, il quartiere più frequentato dalla centinaia di richiedenti asilo accolti dalla città di Udine. L’opinione e il sentire della gente merita sempre rispetto, specie nei casi, come questo, in cui l’iniziativa si dichiara e vuole apertamente rimanere lontana da strumentalizzazioni politiche. Tuttavia alcune considerazioni e domande ai promotori si impongono. Le ho poste anche alla conferenza stampa, ma non ho ricevuto sostanzialmente risposta e quindi le rilancio sul web.

Le considerazioni. Per la verità, i dati smentiscono che vi sia nel quartiere una recrudescenza di reati contro i residenti. Infatti il comitato parla di un disagio più sottile, quasi una sensazione a pelle di insicurezza, e di problemi economici che sarebbero stati indotti dalla presenza dei profughi. «Gli abitanti hanno paura anche di scendere a gettare l’immondizia se devono letteralmente attraversare assembramenti anche di 50-60 persone che non si sa cosa stanno a fare. Diverse attività economiche denunciano un calo di clientela. Diversi condomini della zona soffrono per le spese condominiali non pagate da affittuari stranieri. In diversi appartamenti non c’è chiarezza sul numero delle persone che effettivamente ci vivono», hanno detto gli intervenuti.

Non reati, insomma, ma una sensazione di paura e di insicurezza dovuta alla sola presenza massiccia di persone “diverse”, a torto o a ragione ritenute ostili. Le liti infatti, se scoppiano, riguardano i rapporti tra i migranti stessi e non i residenti. Non si registra un aumento di reati contro il patrimonio, lo spaccio di droghe leggere non è dissimile da altre zone della città, e comunque è alimentato da clientela italiana. Alcuni membri del comitato parlano di pesanti offese a donne che camminano nel quartiere, ma di tutto ciò non vi è formale denuncia (comunque anche solo l’offesa verbale a sfondo sessuale prefigura il reato di violenza sessuale), come anche la presenza di predicatori fondamentalisti rimane una pura illazione.

Ed ora le domande. Se il problema denunciato, in sostanza, riguarda un aspetto sociale, ovvero gli assembramenti di profughi fuori dai call center in cerca di una connessione internet per comunicare col loro paese di origine, perché rispondere con la militarizzazione del territorio? Non sarebbe molto meno costoso e molto più umanizzante e socializzante chiedere al sindaco di trovare un luogo (magari all’interno del vasto compendio della caserma Cavarzerani) dove i migranti possono trovare una connessione internet e un punto di incontro senza creare disagi al quartiere?

E, collegato a questo, perché i promotori della petizione vedono come interlocutori più le forze dell’ordine che tutte quelle realtà (associazioni, istituzioni ed enti) che in città e anche nel quartiere stanno dando soluzioni e risposte concrete ai problemi dei profughi, affinché le loro difficoltà non vengano riversate sulla cittadinanza? Pensiamo ad esempio al ruolo insostituibile della Caritas diocesana con la mensa dei poveri di via Ronchi, ma anche ai corsi di italiano promossi dal circolo Arci o ai gestori delle case che nella zona accolgono profughi. Anzi, non nella conferenza stampa (nella quale è stato accuratamente evitato ogni tipo di polemiche) ma in altri contesti, come quello organizzato ieri dal “Messaggero Veneto” in viale Ungheria, emergono pesanti critiche contro questi soggetti, operando un curioso ribaltamento della realtà: in queste opinioni sembra, ad esempio, che sia la mensa dei poveri a creare i problemi con i profughi, mentre essa è in realtà un fondamentale ammortizzatore di una emergenza che nessuno ha richiesto e voluto, e senza il quale ben maggiori difficoltà si sarebbero riversate sui cittadini udinesi (pensate a cosa potrebbero fare in giro centinaia di persone che non avrebbero alcun luogo in cui nutrirsi!).

Infine, perché non effettuare la petizione tra i soli residenti in Borgo Stazione (o comunque non dire quante delle 1500 firme raccolte sono di residenti di Borgo Stazione) senza ampliarla a chiunque? Questo ci avrebbe dato molto meglio la misura dell’effettivo disagio del quartiere. Non è infatti un mistero, che molti residenti della zona non condividono affatto l’allarmismo rilanciato da questa petizione. Non lo condivide ad esempio la parrocchia del Carmine, che a fronte di questi disagi evidenzia il grande lavoro di integrazione che comunque si sta facendo nel quartiere delle Magnolie. Anche io, personalmente, che come utente dell’autostazione delle corriere percorro spesso quelle strade, e mi capita di farlo anche a tarda sera, non ho mai avuto la sensazione di trovarmi in pericolo o in un Bronx minaccioso. Anzi trovo che il Quartiere delle Magnolie sia diventato il vero centro cittadino di Udine, la parte più viva e frequentata della città.

I problemi non vanno nascosti sotto il tappeto, e quelli denunciati dalla petizione vanno affrontati con serietà. Ma è la stessa Questura di Udine a negare che esista uno specifico problema di sicurezza in Borgo Stazione. Le questioni sollevate vanno quindi affrontate sul versante sociale. Meno soldi sulla videosorveglianza o in iniziative dalla dubbia efficacia, come un posto di polizia nel quartiere, e più investimenti nel risolvere i bisogni di socializzazione dei profughi che generano fenomeni di disturbo al quartiere e iniziative per integrare chi in Friuli non è solo di passaggio ma vuole rimanerci in un nuovo progetto di vita.

Roberto Pensa

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