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Ora si ascolti il popolo, non i «salotti» in tv

Potrà anche sembrare enfatica la definizione di «più grande manifestazione dell’Italia repubblicana» ma il «Family Day», celebrato a Roma sabato 30 gennaio, è stato senz’altro una eccezionale dimostrazione di democrazia e di partecipazione popolare.

Potrà anche sembrare enfatica la definizione di «più grande manifestazione dell’Italia repubblicana» ma il «Family Day», celebrato a Roma sabato 30 gennaio, è stato senz’altro una eccezionale dimostrazione di democrazia e di partecipazione popolare. Due milioni, come hanno detto gli organizzatori o 70 mila come ha stimato la Questura? La verità, come spesso accade, sta nel mezzo, ma non toglie nulla alla valenza storica della manifestazione, anche se in molti, come maldestri pompieri, hanno cercato di spegnere gli entusiasmi.

Il popolo ha parlato e ha detto un forte e chiaro «no» alla «stepchild adoption» (la possibilità di adottare il figlio del partner, anche dello stesso sesso, nelle unioni civili) e «no» alla confusione tra il matrimonio come descritto dalla Costituzione (società naturale, formata da un uomo e una donna) con altri tipi di unione. Fotografie e dati alla mano, il «Family Day» ha infatti almeno eguagliato le poche manifestazioni oceaniche che nei decenni hanno osato tentare di riempire il Circo Massimo. Solo il più grande partito italiano, il Pd, e la Cgil sono stati in grado di realizzare qualcosa di simile, se si eccettua la festa per lo scudetto della Roma o il concerto gratuito dei Rolling Stones. Al confronto le manifestazioni di piazza dei favorevoli alla legge Cirinnà impallidiscono. Hanno parlato di un milione in piazza ma ad essere proprio generosi erano molto meno di un decimo, nonostante dovessero raggiungere solo la piazza «sotto casa».

Gli italiani, insomma, sono contrari allo snaturamento del matrimonio. E come dimostrano anche i sondaggi, sono massicciamente oppositori della «stepchild adoption».

Ma invece di guardare in faccia la realtà ed ammettere la sconfitta, il fronte «pro Cirinnà» ha usato tutta la sua prevalente influenza sui mass media per snaturare la verità. Sui giornali e in particolare in televisione si è assistito ad una vasta campagna di disinformazione. Da mesi i principali talk show ma anche trasmissioni di punta di intrattenimento (basti pensare a Barbara D’Urso su Canale 5, ma la lista è lunga) hanno offerto un sostegno martellante alle tesi delle cosiddette «famiglie arcobaleno». Le perplessità dei cattolici? Sciocchezze, «roba da retrogradi» («siamo gli ultimi in Europa», è il ritornello. Nessuno racconta però il caso della Slovenia dove con un referendum il popolo ha rifiutato la parificazione delle unioni omosessuali al matrimonio): i reportage sulle famiglie omogenitoriali sono tutto zucchero e niente problemi. Ma da dove vengono i «figli» di due uomini? In alcuni casi il dubbio non sfiora nemmeno gli zelanti reporter, in altri, i più accorti, si cerca di accreditare affermazioni incredibili. Come nel caso di Riccardo Iacona, nel reportage di «Presa Diretta» (Rai 3) sul deputato del Pd Sergio Lo Giudice che, con il suo compagno, ha «comprato» un figlio negli Stati Uniti con l’utero in affitto. Un inviato della Rai va fino in California per intervistare la madre surrogata ma, una volta faccia a faccia, si accontenta delle sue incredibili tesi. «Lo faccio volontariamente per amore dei bambini», dice, ma poi alla domanda se ha ricevuto soldi si rifiuta di rispondere limitandosi a dire che è permesso dalla legge.

Anche molti servizi televisivi sul «Family Day» descrivono realtà immaginarie: una manifestazione laicale, alla quale tante famiglie, sopportando costi e tanta fatica non hanno voluto mancare, viene descritta come una mobilitazione di «truppe» cattoliche da parte dei vescovi. Della manifestazione vanno in onda le curiosità e le piccole smagliature, ma spesso non il messaggio centrale, che viene occultato e vilipeso neanche poi così nascostamente.

I «salotti tv» zeppi di «politically correct» non accettano il confronto con la piazza e trattano le centinaia di migliaia di protagonisti del Circo Massimo con un malcelato atteggiamento di superiorità. Ma con i gravi problemi etici che vengono sollevati ben pochi osano confrontarsi. «La Cirinnà non prevede l’utero in affitto», si dice continuamente, e giù accuse di disinformazione. Ma nessuno ricorda che neanche lo vieta, ed offrirebbe una comoda strada per iscrivere all’anagrafe italiana i figli nati da «transazioni» e fecondazioni assistite all’estero, nei tanti Paesi dove basta avere soldi per ottenere tutto.

Intanto il dibattito sulla legge Cirinnà è iniziato al Senato. Il Pd e il premier Renzi cercano una buona mediazione, per conciliare un più agevole accesso ai diritti individuali delle coppie omosessuali senza però snaturare il matrimonio ed escludendo la mercificazione delle donne e dei figli. Di certo il popolo del «Family Day» non si accontenterà di una mediazione al ribasso. Il Parlamento farà bene ad ascoltare la voce del popolo e non quella taroccata dei «salotti tv».

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