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6 maggio 1976, mille morti. Da non dimenticare

«È umiliante, per ogni friulano, che conosce il senso della dignità, scoprire che in questi giorni là dove si dovrebbe difendere e promuovere la coscienza popolare, si cerca invece il modo meno appariscente e più furbo di ignorare la volontà di un popolo, quello friulano. Di che si tratta è presto detto: come istituire l’università di Udine (il governo deve pronunciarsi entro l’8 marzo) e come farlo senza offendere Trieste innanzitutto, e poi cercando di dare un contentino ai friulani». Lo scriveva Duilio Corgnali il 18 febbraio 1978 sulla Vita Cattolica. Lo ricordiamo alla vigilia del 49° anniversario del terremoto, perché dal prossimo 6 maggio scatta l’anno in cui i friulani si preparano a far memoria dei 50 anni del sisma, ma anche del complicato cammino della ricostruzione che si è concluso con la rinascita di questa terra e delle comunità, grazie in particolare all’università del Friuli, nata nel 1978.

«È giusto che ci prepariamo a ricordare – afferma mons. Valentino Costante, arciprete di Gemona, la capitale del terremoto –, anzitutto per rendere omaggio ai mille morti, che restano ciascuno nel cuore di chi li ha conosciuti. E poi anche per non dimenticare, anzi per riscoprire e rilanciare quanto di positivo e di innovativo abbiamo sperimentato tra quelle macerie e soprattutto nel cammino che ci ha portato alla ricostruzione e alla rinascita attraverso quella primordiale ed efficacissima forma di autonomia dal basso». L’autonomia tanto voluta originariamente dai comitati di tendopoli e di baraccopoli, poi trasferita nei Comuni e nella Regione, che ha convinto il Governo a concederla. I preti, anzi i parroci in prima fila, come ricorda mons. Costante. Quei preti che immaginano un percorso della memoria che, insieme alle specificità di quella tragica vicenda, riscopra e valorizzi il cammino della Chiesa friulana: fu allora che nacque la Caritas e che maturò l’esperienza degli 80 gemellaggi diocesani, animata dall’Assemblea dei cristiani del Friuli. Si provi a cercare “Terremoto del Friuli” in Wikipedia. Si troveranno due frasi prima ancora di tutti i dati. «Il Friuli ringrazia e non dimentica» e «Prima le fabbriche, poi le case e poi le chiese» (mons. Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine, 12 maggio 1976). La Profezia della Chiesa del tempo. Sì, perché Battisti non testimoniava come un solista, ma per conto di un popolo e dei suoi preti. Il “Taramot”, magnitudo 6.5 della scala Richter, colpì il Friuli alle ore 21:00:12 del 6 maggio 1976, con ulteriori scosse l’11 e 15 settembre. È ricordato come il quinto peggior evento sismico che abbia colpito l’Italia nel ‘900, dopo il terremoto di Messina del 1908 (magnitudo 7,24 con 60.000/80.000 vittime), il terremoto della Marsica del 1915 (magnitudo 7 con 30.000 vittime), il terremoto dell’Irpinia del 1980 (magnitudo 6,9 con 3.000 vittime) e il terremoto dell’Irpinia e del Vulture del 1930 (magnitudo 6.7 con 1.400 vittime).

Le celebrazioni

In questo 6 maggio sono previste le celebrazioni e le commemorazioni di ogni anno. Nelle comunità ci si raccoglierà in preghiera, nonostante siano trascorsi 49 anni, alla sera. Così accadrà a Gemona, alle 20, in cimitero. Sempre a Gemona, però, al mattino del 6, alle 10.30, presso la caserma Goi, saranno commemorati gli alpini morti e nella circostanza sarà l’arcivescovo Riccardo Lamba a presiedere la liturgia. Gli alpini friulani si sono dati appuntamento, prima di partire per Biella dove terranno l’adunata nazionale. Alle 20, della stessa sera del 6 maggio, mons. Lamba sarà a Venzone per celebrare la messa: nel Duomo dalla ricostruzione “miracolosa”, per anastilosi, pietra su pietra, com’era e dov’era. «E nei prossimi mesi – conclude il parroco di Gemona – proviamo a riflettere, anzitutto come Chiesa friulana ma anche come società, sulle buone pratiche che possiamo ereditare da 50 anni fa». Buone pratiche che hanno originato una rinascita ammirata in tutto il mondo.
Francesco Dal Mas

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