Come mi è già capitato di condividere in questa rubrica, credo che un momento particolarmente significativo del ministero che noi cappellani viviamo in carcere sia quando abbiamo la possibilità di ascoltare i ragazzi nei colloqui individuali. A volte ci vuole qualche settimana per entrare in relazione, altre volte invece fin dal primo incontro si instaura un rapporto di attenzione molto sereno che evidenzia il desiderio da parte del detenuto di approfondire la sua storia personale e questo fa diventare il tempo trascorso in istituto un’occasione di riflessione.
Con L. è stato così fin da subito: un dialogo sereno e sincero riguardo le responsabilità e la possibilità di riflettere su quanto accaduto, trascorrendo il tempo lontano dalla famiglia, purtroppo. Durante uno dei nostri colloqui ad un certo punto mi accorgo che fissa lo sguardo su un paio di oggetti che aveva posato sul tavolo, poi voltandosi mi dice: “Sai don Lorenzo, qui in carcere anche un quaderno e una matita possono essere importanti”. Quest’intuizione così semplice rivela una verità: quando si è privati di molte cose anche gli oggetti più banali e di uso comune possono diventare preziosi, non solo perché davvero sono pochi, e quindi vanno custoditi gelosamente, ma perché aiutano a riflettere sulle cose importanti della vita che a quel punto non sono più accessibili (poche telefonate e un colloquio con i familiari alla settimana, «sempre che abbia ancora qualcuno che voglia vedere di me, finito in galera») e le decisioni sbagliate che hanno condotto a questa situazione. Saper cogliere queste intuizioni è per me essenziale perché mi aiuta a rimanere con i piedi per terra nel costruire un cammino di fiducia con i ragazzi del carcere.
Un quaderno e una matita rimandano anche ad un’altra realtà (dove adesso però si usano agende elettroniche e lavagne multimediali): la scuola. Dallo scorso anno ho la possibilità di collaborare con un professore di religione di un istituto tecnico di Udine, Cristian, che ringrazio, per la possibilità che mi dà di offrire la mia testimonianza ad alcune classi parlando della Casa circondariale di Udine e in generale di questo mondo così lontano, così vicino (come diceva una canzone di qualche anno fa). Si tratta di aiutare questi ragazzi a riflettere sul tema della legalità, dell’accoglienza, delle scelte, del pregiudizio, partendo da un punto di vista molto particolare che è quello del carcere. È davvero un’esperienza di collaborazione molto arricchente che spero possa portare qualche frutto. Ho voluto aggiungere al titolo di questo articolo “parte 1” perché con le classi dello scorso anno, che nel frattempo sono diventate delle quarte, ho avuto la possibilità di portare come testimonianza non solo la mia esperienza, ma anche quella del Comandante della Casa circondariale e di due ex detenuti che attualmente vivono il loro periodo di messa alla prova, che hanno raccontato a questi ragazzi il loro punto di vista. Rimanete sintonizzati… vi racconterò come è andata!
p. Lorenzo Durandetto C.M.
cappellano, Casa circondariale di Udine
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