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L'editoriale

Riarmo in funzione Usa

Ci sono molte cose che non capiamo sull’aumento delle spese militari di cui si è discusso a livello di UE e di Nato nei giorni scorsi. Con nelle orecchie ancora l’appello di Leone XIV per una pace “disarmante e disarmata”, c’eravamo lasciati ammaliare dall’idea che si stesse finalmente discutendo di un esercito europeo con la bandiera blu e le stelle, un passo in avanti decisivo nella costruzione di un’Europa unita.

C’eravamo illusi che non si stesse parlando solo di armamenti, contingenti, basi militari come quella USA di Aviano da cui decollano sempre i B52. Credevamo che si stesse discutendo di allineare le spese dei singoli Paesi europei per dar corpo a un altro fondamentale pilastro dell’integrazione, dopo quello monetario e quello dei diritti: la difesa. Avevamo realizzato che il prezzo da pagare fosse considerevole, nella speranza che questo avrebbe in qualche modo finito per trainare la necessità di una politica estera comune dei 27: altro tassello mancante dell’UE.

Avevamo sospeso il giudizio sulle motivazioni di tale salto di qualità. Non perché sottovalutassimo il pericolo costituito dalla Russia di Valdimir Putin, la cui minaccia ha portato nazioni come la Finlandia e la Svezia, confinanti con la Federazione Russa e che si sono sempre tenute fuori dall’alleanza atlantica, a chiedere di rifugiarsi sotto l’ombrello della Nato. Il piano europeo per il riarmo (“Readiness 2030”, cioè “Essere pronti al 2030”), ha infatti opportunamente descritto la Russia come la minaccia fondamentale per la sicurezza europea e il centro di una rete mondiale di poteri autoritari (Bielorussia, Corea del Nord, Iran).

Avevamo anche chiuso un occhio sul fatto che, su quel piano, nessun passo concreto verso un’unica struttura integrata di difesa veniva descritta e programmata, ma solo auspicata, e velatamente disegnata. Se lo spazio maggiore deve essere dedicato alla tecnologia e all’innovazione, come nello stabilimento Leonardo di Ronchi dei Legionari, pensavamo che questo potesse magari avere delle ricadute utili in termini civili. Avevamo immaginato che, seguendo l’esempio dei padri fondatori dell’Europa, si trattasse della tradizionale strategia dei passi concreti: prima le realizzazioni pratiche, poi le definizioni politiche.

Nel recente vertice della Nato tenutosi a L’Aia tutti questi dubbi e incertezze si sono invece trasformati in una preoccupata delusione. Il riarmo europeo sembra essere unicamente funzionale a soddisfare la richiesta del presidente americano Donald Trump che i partner europei della Nato mettano più soldi, perché gli USA sono stanchi di farsene in gran parte carico. Di semplice finanziamento della Nato, dunque, si tratta, e non di una seconda, consistente, finalmente salda, gamba europea del tavolo atlantico?

Cosa ne sarà della Nato – e dell’Europa – senza ridare peso alle istituzioni internazionali come l’ONU e la Corte internazionale di giustizia, sbeffeggiate da tutte le superpotenze, che possono, sole, garantire un minimo di rispetto del diritto internazionale? Quel diritto irriso da Putin e da Netanyahu, non a caso sotto indagine dalla Corte per crimini contro l’umanità, e dallo stesso presidente americano che sembra oggi più che mai dominare la Nato…

Tutte le dinamiche internazionali sembrano andare nella direzione favorevole alle autocrazie, contro le democrazie: l’intervento israelo-americano in Iran dà il destro al regime degli ayatollah di reprimere l’opposizione interna, la strage israeliana a Gaza fornirà decine di migliaia di adepti al terrorismo di Hamas, la sponda offerta da Trump a Putin ne supporta il regime liberticida. In un mondo in cui tutto, compreso l’autoritarismo della Repubblica Popolare Cinese, compresa l’avanzata delle destre e dei populismi, sembra precipitare verso la medesima direzione, la fiammella della speranza rappresentata dall’Europa democratica, liberale e solidale si fa sempre più fioca.

Andrea Zannini
Università di Udine

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