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Sudan, crisi umanitaria dimenticata. La testimonianza di don Cignolini

Per capire quali siano le crisi più feroci, le emergenze umanitarie più acute sul pianeta c’è uno strumento incontrovertibile che – pur attraverso la freddezza dei numeri – restituisce un’immagine puntuale del mondo. È il rapporto «Global Trends» dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati che, a giugno di ogni anno, mette nero su bianco i numeri di rifugiati e sfollati interni. Ebbene, leggendo i dati pubblicati quest’anno, non solo si scopre che (alla fine del 2024) le persone costrette a fuggire dal proprio Paese – a causa di persecuzioni, guerre, violenze e violazioni dei diritti umani – avevano toccato quota 123,2 milioni (il doppio rispetto a dieci anni fa), ma anche che il Sudan, in questa triste classifica, ha scalzato Siria, Afghanistan ed Ucraina. Con 14,3 milioni di rifugiati e sfollati interni quella sudanese è infatti, su questo versante, la crisi umanitaria più pesante. Un dato che – se pensiamo con che frequenza si parla di Sudan – ci dice anche qualcosa rispetto ai cosiddetti “conflitti dimenticati”. E pensare che – stando ai dati di Oxfam Italia – una persona su due (in un Paese che conta 50 milioni di abitanti) è colpita da malnutrizione, mentre in una parte del Sudan la popolazione sta già affrontando gli effetti della carestia. 17 milioni di bambini e bambine non possono andare a scuola. 20 mila i morti.

Una lunga storia di conflitti

Iniziata il 15 aprile del 2023, la guerra è derivata dal collasso dell’alleanza tra le Forze Armate Sudanesi (Saf) e le Forze di Supporto Rapido (Rsf) in una violenta lotta di potere. Il conflitto, inizialmente scoppiato a Khartoum – la capitale del Sudan – si è rapidamente diffuso in tutto il Paese, portando a sfollamenti di massa, pulizia etnica e violenza diffusa, in particolare nel Darfur. Quella del Sudan è una lunga storia di guerre civili e insurrezioni armate, anche per questo l’escalation è stata veloce e il livello di complessità si è fatto subito elevato.

«Si sta andando verso la divisione del Paese» ha spiegato ai microfoni di Radio Spazio, intervistato da Valentina Pagani, don Luigi Cignolini, missionario comboniano che opera da 45 anni in Sudan, rientrato da poco per un periodo di riposo nella sua città natale, Codroipo. «Quando è scoppiata la guerra – ha raccontato Cignolini – mi trovavo a El Obeid, a circa 700 chilometri a sudovest di Khartoum. All’improvviso ci siamo visti davanti le milizie, siamo riusciti a scappare e rientrare nella nostra casa per miracolo. Siamo rimasti lì per un anno, su insistenza del Vescovo e dei nostri superiori, insieme ad alcune suore ci siamo spostati in un’altra comunità di comboniani, a metà strada tra El Obeid e Khartoum».

«È una guerra combattuta moltissimo con i droni e altre armi sofisticate – ha poi precisato il missionario –. Appena un mese fa proprio un drone ha colpito la canonica di Al Fasher uccidendo l’ultimo prete di quella zona, insieme a due ragazze. Qualche settimana fa invece è morto così un mio allievo del seminario».

A El Obeid, nel 2023, don Cignolini si stava occupando della nascita di due nuovi centri in due realtà che, nei piani del vescovo, a breve sarebbero state elevate a Parrocchie. Fondamentale poi l’impegno per l’educazione che negli anni ha garantito l’accesso all’istruzione a un numero altissimo di bambini e bambine.

Sulla Vita Cattolica del 3 settembre 2025 approfondimento a cura di Anna Piuzzi

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