Un passo dopo l’altro, come in ogni cosa della vita. “Verso l’alto”, come ha esortato Papa Leone XIV citando il neo-santo Pier Giorgio Frassati. L’alto di Castelmonte, dove si lunedì 8 settembre si è celebrato l’annuale pellegrinaggio diocesano voluto da mons. Alfredo Battisti all’indomani del devastante sisma del 1976. Proprio in quell’anno si diede inizio alla tradizione che, conti alla mano, quest’anno si è rinnovata per l’edizione numero 50.
Forse anche per questo a Carraria di Cividale, ai piedi della salita, la partecipazione era più folta rispetto agli ultimi anni. Molti sacerdoti – anche giovani, che nel 1976 non erano neppure nati – ma pure diverse famiglie, alcuni gruppetti di giovani, religiosi e religiose. Mescolati nel fiume di pellegrini anche l’arcivescovo mons. Riccardo Lamba e il prefetto di Udine Domenico Lione, presente per l’occasione. Quei passi, il sudore, la fatica della salita e la bontà di un sorso d’acqua accomunano tutti. Così come le “Ave Maria” scandite da giovani voci al microfono.
Il corteo procede lento, più del solito, tanto che da dietro si aggiunge qualche pellegrino ritardatario e qualche giovane appena uscito dai primi giorni di scuola. «Vanno piano», dice un anziano frate incontrato lungo la salita. «È per non lasciare indietro nessuno». Sull’ultima rampa, ad attendere simbolicamente i pellegrini, la sindaca di Prepotto Mariaclara Forti, a incoraggiare chi si affacciava al piazzale di “Madone di Mont”. «Ben arrivati!» dice sorridendo, con sullo sfondo il suono festoso delle campane.
Molti pellegrini, per questioni di età o salute, hanno preferito raggiungere direttamente il piazzale del Santuario, attendendo la Messa. Celebrazione che è iniziata poco dopo le 17, non senza qualche disguido per l’elevato numero di sacerdoti – alcuni senza posto a sedere – e autorità presenti, tra le quali, oltre al già citato Prefetto, anche il presidente del Consiglio regionale Mauro Bordin, il questore Pasquale Antonio de Lorenzo e i sindaci delle Valli del Natisone e del comprensorio cividalese. Dinanzi all’icona di Maria c’è davvero tanta gente, tra le mille e le millecinquecento persone. «Questa forse è la celebrazione diocesana più bella, ancora più di quelle in Cattedrale» ci confida un uomo sul piazzale. Sicuramente è la più “popolare”, quella più sentita e più vicina. Nonostante sia “fuori mano”, lassù a Madone di Mont. O, forse, proprio per questo.
L’Arcivescovo: «Da Maria impariamo la mediazione»
«L’altro giorno mi trovavo a Milano e, in metropolitana, un giovane mi ha avvicinato; vedendomi vestito da prete, mi ha chiesto: “Come mai nella Chiesa ci sono tante persone che si pongono tra noi e Dio? Preti, vescovi, il Papa… Non sarebbe meglio un rapporto diretto tra noi e Dio?”». È con un aneddoto che l’arcivescovo Riccardo ha iniziato la sua omelia. «Ho atteso un attimo – ha ammesso Lamba –, poi ho risposto a questo giovane dicendogli che stava cogliendo qualcosa di molto importante della tradizione ebraico-cristiana: Dio ha fatto la scelta di rivelarsi. E lo ha fatto in due modi: direttamente (parlando cioè al cuore di ciascuno di noi) e indirettamente tramite tante persone che ci stanno attorno. Queste modalità non si escludono a vicenda: il più delle volte Dio utilizza una mediazione». L’Arcivescovo giunge così al cuore della sua riflessione: frapporsi, stare “nel mezzo” tra Dio e gli altri affinché lui giunga loro nelle modalità in cui questi ultimi sono in grado di coglierlo.
«Gesù stesso ha scelto la mediazione per annunciare il Vangelo, tramite la chiamata degli apostoli e dei discepoli. Il mistero dell’incarnazione e l’evangelizzazione hanno avuto bisogno di mediazione», ha ricordato. «Ciascuno di noi è chiamato a essere mediatore e mediatrice, come Maria; per questo siamo nati!»
Da 50 anni a Castelmonte
Con la mente al fatto che si stava celebrando l’edizione numero 50 del pellegrinaggio nato sulle macerie del sisma del 1976, mons. Lamba ha concluso affermando come «La festa della Natività di Maria è anche la nostra festa, perché possiamo riconoscere la mediazione di Maria anche in questa terra quando, 50 anni fa, ha aiutato la nostra gente – e non solo, viste le tante Diocesi che sono accorse in nostro aiuto – a non scoraggiarsi davanti al dramma del terremoto». Le parole dell’Arcivescovo sono preludio alle celebrazioni che si svolgeranno nel 1976, cinquant’anni dopo il risveglio dell’“Orcolat”. Iniziative che sono in cantiere anche da parte della Chiesa udinese, che all’epoca del sisma fu attiva protagonista della prima ricostruzione e non solo.
La versione completa dell’articolo, a firma di Giovanni Lesa, si può leggere su La Vita Cattolica del 10 settembre 2025.