
Siamo giunti a settembre. Si riparte con un nuovo anno, per quanto mi riguarda ricomincia la mia quotidianità universitaria e ripartono anche tutte le attività parrocchiali.
È passato ormai poco più di un mese dal Giubileo e mi chiedo spesso se l’esperienza che ho vissuto, in quei pochi giorni, abbia cambiato qualcosa nella mia vita.
Ingenuamente, sentendo parlare altre persone del tipo di esperienza che sarei andata a vivere e delle conseguenze che avrei avuto nel varcare la Porta Santa, mi sembrava che questa avrebbe potuto darmi le risposte a tutte le domande e mi avrebbe permesso di cambiare radicalmente ciò che non funziona, quasi come il varcare una porta magica. Beh, ad oggi posso dire che l’aver varcato quella soglia non ha cambiato la mia vita con un click, non si sono resettati i miei problemi e dubbi, non mi sono state date istruzioni e risposte ai miei interrogativi, però posso dire che questa esperienza mi ha permesso di interrogarmi e guardare, capire e affrontare le cose che non funzionano e i miei dubbi con uno sguardo diverso e che questa nuova prospettiva mi ha dato uno spirito nuovo per incamminarmi.
A Roma ho fatto esperienza di una Chiesa Universale. Sono partita con il mio piccolo gruppo parrocchiale, con tante ansie e paure, ma questa universalità inaspettata mi ha mostrato che il peso di quelle mie paure e angosce è lo stesso di molti miei coetanei. Così quella zavorra che mi portavo sulle spalle l’ho sentita più leggera, questa croce condivisa mi ha fatto sentire meno sola, consolata. La croce, con le sue braccia pesanti, non è stata un peso, ma è diventata un abbraccio di comprensione e aiuto reciproco. L’aver lavorato in gruppi con vari coetanei di diverse parrocchie mi ha permesso di mostrare e mettere alla luce i “miei” problemi che in questa condivisione sono diventati i “nostri”. Ho trovato e ho capito che è importante circondarsi delle persone giuste, che non sempre sono quelle che stanno vicino, che dobbiamo fidarci e lasciarci accogliere da loro, che non è importante essere sempre assecondati, ma che bisogna affidarsi e guardare i propri dubbi con gli occhi di chi ci sta davanti.
Questa settimana intensa – dove sono successe tante cose, come se fossi stata immersa in un frullatore di emozioni, esperienze, occasioni – mi ha dato l’opportunità di chiamare “fratelli” anche gli altri ragazzi della diocesi e della parrocchia di Roma che ci hanno ospitato e accolto, dei ragazzi che ho incrociato nelle varie occasioni giubilari. Le chiacchere, gli scambi di sorrisi e di doni tra Roma e Tor Vergata sono diventati un: ”Eccoci, non sei sola, siamo qui, siamo circondati di bellezza e amore”.
Lo spirito del Giubileo mi ha dato il coraggio di dire sì, di mettermi in gioco in campi e ambiti che non mi sarei aspettata; quei momenti di condivisione con i sacerdoti, con i referenti adulti e quelle catechesi mi hanno fatto capire che il mio essere cristiana non è un fatto che riguarda solo me, ma che tutti siamo parte di una comunità che si mette in discussione e che partecipa, diventando così Chiesa.
Durante la settimana abbiamo scoperto la figura di Pier Giorgio Frassati, da poco canonizzato. Quel ragazzo vissuto 100 anni fa aveva un modo di vivere comune, attuale e che ci è familiare. In questa settimana è diventato quasi un coetaneo e la sua vita mi ha parlato e ispirato. Mi sono detta: anch’io posso fare la mia parte, anch’io posso vivere il Vangelo nella quotidianità, posso vivere le mie passioni, le mie amicizie, posso vivere ed essere parte di una comunità.
Al Giubileo ho vissuto la globalità, ma anche l’orgoglio dell’essere friulana. In molti, vedendo la nostra bandiera con l’aquila, ci fermavano incuriositi chiedendoci: “Where are you from?”. E noi con orgoglio rispondevamo: “Friuli”. Poi li salutavamo con un semplice “mandi”, che non è solo un saluto, ma rimettere il prossimo nelle mani del Signore. Ancora di più ci siamo sorpresi che quella bandiera sventolata con orgoglio ci ha permesso di incrociare e riconoscerci tra conterranei e questo ci ha dato l’occasione di ringraziare quei volontari della protezione civile che sono scesi dal Friuli per fare un servizio a noi.
Sono rimasta affascinata dal silenzio di Tor Vergata durante la veglia, perché durante l’adorazione del Santissimo è calato un silenzio assordante permettendo a ciascuno di noi di avere e vivere un momento intimo e personale con il Santissimo.
L’evento vissuto mi ha dato l’occasione di divenire testimone reale di una chiesa universale, sono diventata un testimone per i tanti ragazzi che incontro in oratorio e a catechismo. A loro posso dire: “Non siamo soli, pensate che a Roma eravamo più di un milione, provenienti da tutto il mondo per un’unica persona, Gesù, e ora siamo qui per testimoniarlo a voi”.
In conclusione, come Papa Leone ci ha ricordato, ci vuole coraggio nelle scelte che facciamo quotidianamente e la scelta di venire al Giubileo è stata dura, mi ha messo a dura prova perché non sapevo se fosse la scelta giusta, ma questo coraggio è stato ampiamente ripagato dall’esperienza vissuta.
Chiara Trevisan