Non ha «tenuto il conto», ma dal 1975 ad oggi in Kenya ha realizzato centinaia di pozzi e il suo infaticabile impegno nella ricerca di acqua nel continente africano continua. Raggiunto telefonicamente da Radio Spazio in occasione del mese missionario, ai microfoni di Valentina Pagani il comboniano fratel Dario Laurencig ha sollecitato tutti a pregare per le missioni, «perché anche chi è in prima linea ha bisogno della retrolinea». «Sentiamoci vicini – ha insistito –: chi è qua, chi è là, uniti nel fare ciascuno il proprio dovere» e «sorretti dalla speranza», che è anche il tema (giubilare) di questo Ottobre missionario («Missionari di speranza tra le genti»).
Originario di Spignon di Pulfero, classe 1951, Laurencig è partito alla volta del Kenya 50 anni fa dopo la professione religiosa con i missionari Comboniani, all’età di 24 anni. Pur con varie assegnazioni, ha poi trascorso la maggior parte della vita nel paese africano, trivellando e manutenendo pozzi nelle zone più desertiche e chiamato a “cercare acqua” anche in Tanzania, Uganda, Etiopia e Sudan. «In quest’ultimo paese non vado da due anni, purtroppo la situazione attuale in Sud Sudan non lo consente», commenta.
Attualmente fratel Dario si trova nella regione del Turkana, nel nord-ovest del Kenya, dove vive una popolazione nomade – spiega –, e dove la missione dei Comboniani si preoccupa anche dell’evangelizzazione, di assicurare ai bambini un’educazione e di portare avanti progetti in ambito sanitario, con visite e vaccinazioni nei vari villaggi. «La missione è grande come tutto il Friuli – racconta –, ma a differenza delle mie Valli, qui non c’è verde né erba, solo sabbia. Siamo in cinque, a vivere insieme, tutti provenienti da nazioni diverse».
Molto del lavoro del missionario friulano è incentrato nel garantire l’acqua in questa zona desertica. Fratel Dario infatti è noto per la sua abilità rabdomantica, che gli permette di individuare elementi naturali nel sottosuolo, in particolare l’acqua, appunto. Niente “effetti speciali”, ha spiegato a Radio Spazio, «uso una bacchetta di legno, come facevano i nostri vecchi quando ero bambino io. Si tratta di un metodo tradizionale di ricerca dell’acqua. Oggi nei paesi occidentali ha preso spazio l’uso della tecnologia, ma a quanto vedo io il metodo tradizionale è più preciso!». Nell’effettuare la ricerca, infatti, fratel Dario riesce anche ad indicare la profondità e la quantità d’acqua presente nel sottosuolo. «Altrimenti si scaverebbe a vuoto – afferma –! A quel punto si trivella e si realizza il pozzo».
In Friuli l’iniziativa “Diamo un taglio alla sete” sostiene questi progetti. «È un gruppo che mi aiuta molto – sottolinea con riconoscenza il missionario –, e non solo per le trivellazioni che faccio io direttamente… Ho lavorato per molte istituzioni, diocesi, missioni, in ospedali, scuole, per il governo… un po’ per tutti. Protestanti, musulmani, cattolici».
Quanti pozzi ha realizzato in questo modo? «Non ho una lista», sorride.