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A Ruscletto, S. Messa in memoria di don Sclabi, prete eroico e umile

Sabato 18 ottobre alle ore 18.30 mons. Guido Genero celebra nella sua Ruscletto (parrocchia di Silvella, comune di San Vito di Fagagna) la messa nel 75° anniversario della morte del compaesano don Celestino Sclabi, che qui riposa.

Questo prete friulano appartenne al clero della vicina diocesi di Concordia, dove svolse il ministero in diverse parrocchie e particolarmente come arciprete di Roraigrande, storica e popolosa parrocchia della città di Pordenone, per la quale diede inizio nel 1909 alla nuova chiesa. Ma è quando passò alla storica chiesa del Cristo che aveva allora annesso l’Ospedale Civile di Pordenone che don Sclabi diede prova di tutta la sua carità e di grande coraggio. Nell’anno dell’invasione austroungarica (1917) egli si trovò alla testa del nosocomio operando anche per tanti feriti della guerra con l’ausilio delle sole suore e di poche infermiere: fu a un tempo presidente e direttore, provveditore delle medicine e dei generi alimentari necessari. Fu lui a curare anche il trasbordo dei feriti gravi ricoverati nel vicino Ospedale militare sotto il bombardamento aereo che accompagnò la ritirata del nemico; e riuscì a mettere in salvo pure l’oro depositato al Monte di Pietà nascondendolo sotto il pavimento della sua chiesa. Per non dire dell’assistenza religiosa garantita da lui, con appena due altri confratelli, ai pordenonesi non sfollati. Possiamo immaginare i sacrifici che don Celestino dovette sostenere nel costante pericolo di essere arrestato, minacciato pure dagli austriaci di essere confinato.

Giunta la pace, lasciò la cura dell’ospedale e della chiesa del Cristo e lasciò nel 1919 pure Pordenone per ritirarsi, per ragioni di salute, nella piccola Ruscletto fino alla morte a 89 anni il 17 ottobre 1950.

Pordenone non dimenticò questo eroico, umile sacerdote al quale conferì la medaglia d’oro della Sanità Pubblica, descrivendo l’opera dell’“angelo consolatore dei feriti e dei moribondi, pietoso accompagnatore dei morti senza bara, confusi in un unico carretto come ai tempi della peste manzoniana, e che sovente aiutò a trainare”.

Walter Arzaretti

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