«Come si incontra Dio?» Ricordo con affetto la risposta che mi diede un anziano sacerdote milanese a cui confidavo i miei dubbi allora molto intellettuali: «Parola, Eucaristia, Poveri». Quel saggio prete pensò bene di indicarmi tre esperienze molto materiali: una Parola da frequentare, del Pane da mangiare, volti concreti da incontrare. Mi fece riflettere l’indicare i poveri come una via preferenziale per fare esperienza di Dio.
L’episodio mi è ritornato alla mente mentre leggevo i 121 numeri di cui si compone “Dilexi te” (“ti ho amato”), la prima esortazione apostolica di Leone XIV dedicata alla cura della Chiesa «per i poveri e con i poveri». Il documento, il primo del pontificato, è un appassionato invito a riscoprire «il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri». Un legame che non si colloca “nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione”, perché “il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia”.
Nei cinque capitoli dell’esortazione -un progetto abbozzato già da papa Francesco- si possono scorgere i temi ereditati dal predecessore, ma anche i frutti del servizio di Prevost come vescovo e missionario in Perù e la lunga esperienza della chiesa latino-americana a fianco degli ultimi. È schietta la denuncia di squilibri sistemici nella distribuzione della ricchezza, vere e proprie “strutture di peccato” che dietro le giustificazioni di una fredda razionalità economica calpestano la dignità di uomini e donne, per cui “diventa normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero”.
Ai cristiani è chiesta una “decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli”. È un’opzione di preferenza che trova la sua ragione più profonda nella vita di Gesù, in un Dio che si è fatto povero e ha condiviso la carne dell’uomo fino alla morte. È questo paradosso sorprendente la chiave per leggere i capitoli in cui il papa ricorda la storia dell’attenzione della Chiesa verso i poveri. Una rassegna che parte dai padri della Chiesa e arriva ai santi sociali, passando per riformatori, ordini religiosi e carismi originalissimi. Ma anche la progressiva elaborazione della riflessione sociale della Chiesa, che dalla “Rerum Novarum” di Leone XIII giunge all’ecologia integrale di Francesco.
Il farne memoria mostra che “l’attenzione verso i poveri e con i poveri è parte essenziale del cammino ininterrotto della Chiesa (…) fa parte della Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che illumina i passi dei cristiani in ogni tempo.” In queste parole non c’è tanto il richiamo a occuparsi delle povertà (che sono un fenomeno variegato e complesso) da sociologi o esperti, ma a imparare a scorgere nei poveri una “questione familiare”, a dire “sono dei nostri”, a vedere chi è fragile come un soggetto capace di creatività (da cui l’insistenza sull’espressione “con i poveri”) e non un contenitore di beneficenze.
Questo sguardo può iniziare nell’elemosina, maturare nella vicinanza e farsi accompagnamento, come nella parabola del samaritano. Non è una proposta per pochi, per chi si sente portato o è più sensibile alle questioni sociali. È una sfida permanente rivolta a ciascun credente, perché “sia attraverso il vostro lavoro, sia attraverso il vostro impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia attraverso quel gesto di aiuto semplice (…) sarà possibile per quel povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: «Io ti ho amato» (Ap 3,9)”.