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Dipendenze in aumento. Venerdì 14 convegno sulle comunità terapeutiche

Nel 2024 la cannabis è stata la sostanza psicoattiva più diffusa in Italia, al secondo posto c’è la cocaina che causa il 35% dei decessi. Sempre più diffuso è il pluriconsumo e a finire nel vortice della dipendenza sono giovani di età via via più bassa. Ma a preoccupare non sono solo droga e alcol: oltre 1,4 milioni di studenti (il 57%) hanno giocato d’azzardo almeno una volta e il 17% mostra un uso problematico dei videogame. I dati emersi dalla 7ª Conferenza nazionale sulle dipendenze (Roma, 7-8 novembre) sono allarmanti. A confermarlo è Francesco Piani, responsabile terapeutico del Centro Solidarietà Giovani “Giovanni Micesio” di Udine. Proprio il Csg “Micesio” venerdì 14 novembre promuove a Udine un convegno sulle comunità terapeutiche, dal titolo “Innovare senza perdere il cuore”.

Il convegno

Promosso nel 50° di fondazione del Centro solidarietà giovani “Giovanni Micesio” il convegno “Comunità terapeutiche: innovare senza perdere il cuore” è in programma dalle 14.30 nella Sala Paolino d’Aquileia in Via Treppo 5. «Oggi le comunità terapeutiche si trovano a fronteggiare situazioni sempre più complesse –spiega Piani –. C’è bisogno di riflettere, di trovare alleanze, non a caso il convegno vedrà coinvolti i responsabili dei servizi delle dipendenze del Friuli-V.G. per un confronto sulle prospettive future di fronteggiamento del fenomeno delle dipendenze e su possibili alleanze».

L’intreccio sostanze-disturbi mentali

«Il panorama, purtroppo, si fa sempre più drammatico – evidenzia Piani –. E in particolare perché da anni il fenomeno delle dipendenze nella fascia giovanile è il primo problema di salute mentale. Lo vediamo anche negli utenti delle nostre comunità. Più il tessuto sociale cede (e pure la famiglia), più emergono problemi di questo tipo. Dimentichiamoci il tossicodipendente che vedevamo in strada anni fa… Oggi i tossicodipendenti sono un po’ da tutte le parti. Molti continuano a lavorare, ad avere una famiglia…», in taluni casi la situazione è paragonabile a quella dell’abuso dell’alcol. «Eppure le sostanze (la stessa cannabis!) possono produrre disturbi mentali gravi, talvolta permanenti, quindi con gravi ripercussioni sia cliniche che comportamentali». Il problema delle dipendenze «affligge la nostra società da molti anni. E devo dire con una piccola punta di polemica – aggiunge lo psichiatra – che ce ne ricordiamo solo in occasione delle conferenze, quando si esprimono il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Papa (il videomessaggio di Papa Leone)».

Alziamo l’attenzione

Piani sottolinea quanto sia urgente «alzare il livello dell’attenzione, sia in termini di organizzazione e di servizi che di risorse, programmi per far sì che questo fenomeno, anziché continuare ad aumentare, tenda a ridursi». Un esempio: nelle scorse settimane il Ministero dell’Istruzione ha previsto un’attività di informazione nelle scuole sul Fentanyl, la sostanza oppioide che sta devastando l’America. «Può essere sufficiente – osserva lo psichiatra – un’attività di questo tipo? La verità è che nelle scuole i ragazzi sono molto più informati di noi rispetto alle sostanze e al loro utilizzo, ma anche sui problemi che le sostanze stesse comportano. E un ragazzo in situazione di fragilità (…e l’adolescenza è un’età di sofferenza) quando si rivolge alle sostanze lo fa a prescindere da tutti i rischi che questo comporta. Anzi, quella è un’età in cui la propensione al rischio è piuttosto elevata e la trasgressione attrae!». Ecco perché risposte più efficaci, insiste lo psichiatra, sono quelle che vanno oltre la semplice informazione. «Si potrebbe, piuttosto, introdurre un insegnamento curricolare nella scuola (un’ora alla settimana, in tutte le scuole) di educazione alla salute – suggerisce –, anche sulle sostanze ma con una riflessione sui comportamenti virtuosi, perché molto spesso sono proprio le situazioni di sofferenza, la violenza, il senso di abbandono, che portano all’uso di sostanze. Più che dire che la droga fa male, bisogna agire sulla prevenzione delle cause che portano al suo utilizzo. Se un ragazzo comincia ad assumere cannabis o alcol a 12 o 13 anni, non mi si venga a dire che la colpa è sua. Siamo piuttosto di fronte ad un fallimento sociale, ad una situazione di sofferenza che non è stata intercettata».

Un approfondimento sul tema è pubblicato sulla Vita Cattolica del 12 novembre 2025

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