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L'Arcivescovo ha celebrato a Ronchis le esequie di don Severino, 93 anni, di cui 70 da sacerdote

Don Casasola "seppe soffrire e stare accanto a chi soffre"

Mons. Mazzocato: «Il suo cuore di pastore si rivelava in modo particolare con le persone che erano provate dalla sofferenza. Sapeva capirle e star loro accanto perché lui stesso aveva imparato, come Gesù, cosa significasse il patire nella vita»

Don Casasola "seppe soffrire e stare accanto a chi soffre"

«Anche nella vita di don Severino non sono mancati  momenti  pesanti di prova e di tribolazione che hanno segnato la sua esistenza e la sua persona. Ha saputo sopportarli sempre con quel riserbo che caratterizzava il suo animo. Ora noi preghiamo Dio Padre, che scruta il cuori e ne conosce le sofferenze profonde, perché voglia trasformare le croci di don Severino in una quantità smisurata ed eterna di gloria»: così l’Arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, nel primo pomeriggio di oggi (giovedì 2 febbraio) nella chiesa parrocchiale di Ronchis pronunciando l’omelia delle esequie di don Severino Casasola, tornato alla Casa del Padre martedì 31 gennaio.

La Provvidenza divina ha assegnato a don Severino un lungo pellegrinaggio terreno che è durato più di 93 anni, con la grazia particolare di consacrarne ben 70 al servizio di Cristo e della Chiesa nel sacerdozio. È stato un pellegrinaggio ricco di tante tappe di cui ricordo appena alcune: parroco a Iutizzo, a Torsa e Paradiso, a Latisanotta e, infine, gli anni di collaborazione pastorale a Pertegada, Gorgo e Bevazzana.

«Nel tempo della sua vita terrena ha impegnato con fedeltà e senso di responsabilità i talenti che aveva ricevuto dalla Provvidenza – ha sottolineato mons. Mazzocato -. Aveva un’intelligenza fine che ha saputo coltivare con letture, viaggi e interessi culturali di qualità ma non per ambizione personale, bensì mettendo le sue doti a servizio delle persone e delle comunità cristiane che ha servito. Si è fatto, poi, apprezzare e amare per la delicatezza del suo animo che traspariva nei rapporti con i confratelli e con i fedeli. Il suo modo di fare e di parlare era rispettoso e misurato, attento a non ferire la sensibilità e a non mancare di rispetto a chi aveva davanti. Il suo cuore di pastore si rivelava in modo particolare con le persone che erano provate dalla sofferenza. Sapeva capirle e star loro accanto perché lui stesso aveva imparato, come Gesù, cosa significasse il patire nella vita».

Don Severino ci lascia anche una testimonianza viva di fede e di preghiera: «Aveva ricevuto una solida impostazione di vita spirituale dalla famiglia – ha raccontato il Pastore della Chiesa Udinese - e negli anni della formazione in seminario e ha continuato a coltivarla con fedeltà lungo tutti gli anni del suo sacerdozio. La preghiera era il suo appuntamento per tener vivo nella sua vita il primato di Dio che è il perno di un’esistenza sacerdotale. Era, anche, una delle espressioni principali del suo ministero perché nella Chiesa il sacerdote ha il compito, come Mosè, di stare davanti a Dio e intercedere per il popolo cristiano che gli è stato affidato».

Queste qualità umane e spirituali trasparivano dalla persona di don Severino e «venivano percepite da chi gli era vicino, come si sente il sapore del sale nella pasta. Per questo è stato amato e stimato nelle comunità cristiane in cui è passato; ha lasciato non un ricordo emotivo e superficiale, ma un segno profondo, una testimonianza di fede e di bontà che è entrata nelle anime delle persone facendo veramente del bene».

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