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Opinioni

A Gaza genocidio o strage?

Si dibatte, sui giornali e in televisione, per stabilire se a Gaza è in corso una strage o un genocidio: il governo israeliano e i suoi alleati non vogliono sentir parlare di genocidio e accusano di antisemitismo coloro che così definiscono la strage provocata dalla legittima guerra che Israele sta conducendo contro Hamas, il gruppo terroristico che ha trasformato Gaza in un campo trincerato, e il 7 ottobre 2023 ha commesso un orrendo crimine contro Israele.
Perché tanto scrupolo? Semplice, perché il genocidio è un crimine di diritto internazionale, la strage, invece, è inevitabile perché Israele ha diritto di difendersi e, sfortunatamente, per difendersi, deve – per ragioni ambientali – compiere una strage di civili palestinesi, anche palesemente non terroristi come i bambini affamati e denutriti.
Ora, anche se Trump ha dichiarato che l’Onu è inutile – e in un certo senso ha ragione, perché non ha la forza per fermare quello “stragicidio” (neologismo di nostro conio per superare le pregiudiziali ideologiche) – tutti possiamo capire quello che sta accadendo digitando su Internet “Onu Convenzione sul genocidio”.
Apparirà così sul nostro “desk” il testo della Risoluzione 260 (III) del 9 dicembre 1948, che indica cinque diversi modi per commettere genocidio: 1. uccidere membri di un gruppo, 2. causare gravi danni fisici o mentali ai membri di un gruppo, 3. infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita volte a provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte, 4. imporre misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo, 5. trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.
Orbene, secondo una Commissione dell’Onu, sulla base di esplicite dichiarazioni di alcuni membri del governo israeliano e nella condotta dell’esercito sul campo, si ravvisano azioni previste dai primi quattro punti della Risoluzione 260 (III), ma ciò cambia soltanto la posizione dei membri del governo, accusati di un crimine di diritto internazionale perseguito dalla Corte internazionale di giustizia: intanto molti palestinesi continuano a morire ogni giorno, e non è e non sarà di alcun conforto, per le loro famiglie, sapere se sono morti per strage o per genocidio.
Ciò premesso, una riflessione sul passato e sul presente.
La storia è un susseguirsi di guerre separate da periodi di non guerra, ma per molto tempo si trattava di episodi lontani, raccontati da qualche “miles gloriosus”, che non sempre la raccontava giusta: è provato, ad esempio, che un faraone sconfitto lontano dall’Egitto, celebrò in casa la sconfitta come una vittoria. Oggi, invece vediamo la guerra in diretta televisiva e sappiamo che i conflitti attivi sono sessanta nel mondo: se a ognuno la televisione dedicasse cinque minuti, il telegiornale durerebbe cinque ore!
Nei secoli passati la strage e/o il genocidio rientravano nel concetto di guerra e, come dicono i francesi, “a la guerre comme a la guerre”: e qui Trump ha torto, perché l’Onu, verso la metà del terribile “secolo breve” ha ben spiegato che c’è differenza fra le uccisioni di massa. La pandemie (peste, vaiolo, spagnola, covid …) e le catastrofi ambientali (terremoti, eruzioni, alluvioni, tzunami …) provocano stragi, senza distinzioni; i genocidi, invece, sono stragi mirate, come quelle dei turchi contro gli armeni durante la Prima guerra mondiale, di Hitler contro gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale e di Stalin contro gli ucraini.
Ma non è che la risoluzione 260 (III) abbia fermato i genocidi, compiuti dai Kmer rossi in Cambogia, da Utu e Tutsi in Africa, e in anni più vicini in Balcania.
Si pone infine una domanda: c’è un modo per fermare quei terribili eventi?
La risposta sconsolante è che bisognerebbe fare una guerra per far finire la guerra, come fecero gli Alleati contro Hitler nel 1939-1945. Ma senza arrivare a tanto, si potrebbe non fornire armi e giustificazioni ideologiche alla parte che sta commettendo il delitto, di genocidio o di strage.

Gianfranco Ellero

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