Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
News

A Nicea con Papa Leone, nel segno dell’ecumenismo

Nella periferia annonaria della città di Aquileia le aule della Casa dell’Assemblea presieduta dal vescovo Teodoro profumavano ancora di intonaci freschi; sul pavimento una scritta in mosaico registrava il senso dell’irripetibile entusiasmo di vedere riconosciuta ormai legalmente la pratica della fede in Cristo e già costruito e abbellito un luogo non clandestino di riunione e culto: «Teodoro felice, / con l’aiuto di Dio / onnipotente e / della greggia dal cielo a te / affidata ogni cosa / in benedizione hai fatto e / in gloria dedica/to». È così posta in luminoso risalto la dinamica delle relazioni umane senza le quali non può essere edificata da Dio la chiesa: in una parola, il suo modo necessariamente ‘conciliare’ – o ‘sinodale’ – di crescere e prosperare, insieme affrontando i problemi via via incalzanti. Da poco (a. 313), appena dopo la più grande persecuzione (303-311), aveva lasciati allibiti la inattesa pace religiosa instaurata da Costantino con Licinio: «stabilimmo […] di dare ai cristiani e a tutti libera facoltà di seguire il culto che volessero». Così però entrava in accelerata incubazione – com’è inevitabile in quei frangenti – una convulsa stagione di equivoci, recriminazioni, rivalse. L’innesco è verso il 318 a Alessandria in Egitto: Ario, prete attempato, intelletto seducente con largo seguito di ammiratori, denuncia una supposta scorrettezza del suo vescovo Alessandro in materia di teologia trinitaria; Ario così gli argomenta filosoficamente la propria contrapposta verità di fede: «Dio in se stesso […] è per tutti ineffabile. […] Il Figlio […] principio delle creature […], perché non è né uguale a Dio né della sua stessa sostanza. […] C’è veramente una Trinità, ma […] le loro persone sono senza contatto fra loro; una è infinitamente più gloriosa dell’altra […]. Il Padre, poiché senza principio, è separato dal Figlio».

L’inaudita eresia ariana

La questione così esplosa rientra nell’inaudito: la fede in Gesù come affermata dall’apostolo Tommaso («mio Signore, mio Dio!», Gv 20,28) mai era stata posta in dubbio nella Chiesa, se non forse da esigui gruppi giudaizzanti che la adattavano alle categorie di un’adozione profetica (come poi Maometto); di conseguenza, anche l’ideale del monachesimo allora nascente, proteso alla divinizzazione dell’uomo nella sua assimilazione a Gesù risorto, risultava demotivato. Ma appunto problemi come questo provocano la conciliarità / sinodalità della reazione ecclesiale verso la dialogica di un esame e un giudizio.
La opposta fede del vescovo di Alessandria, Alessandro, sostenuto dall’allora diacono Atanasio, allora spacca e frastaglia le opinioni dei cristiani in Egitto e nell’Oriente greco. A rimediare ricorrendo alla naturale dialettica conciliare è dunque Costantino stesso, l’imperatore neoconvertito: «come ponendosi alla testa di un esercito divino» – racconta un attore degli eventi – «convocò un sinodo mondiale (sýnodon oikoumenikén), invitando con lettere riverenti i vescovi ad affrettarsi a convegno da ogni luogo della terra […]; fu anche designata una città adatta al sinodo e che prendeva nome dalla ‘vittoria’ (níkē), nella provincia di Bitinia» (Eusebio di Cesarea), ossia l’odierna Iznik turca, che di Nicea perpetua il toponimo greco. L’affollato evento (si disse 318 vescovi, quanti i famigli circoncisi da Abramo!) iniziò il 20 maggio 325 in un clima di stupefazione: «ciascuno dei partecipanti ebbe accesso proprio alla sala centrale del palazzo imperiale […]; su entrambi i lati della stanza erano stati distribuiti in ordine moltissimi scanni»; quindi «si creò un generale silenzio nell’attesa dell’ingresso dell’imperatore […]. A un segnale si alzarono tutti […]; egli in persona passò nel mezzo come un celeste angelo del Signore: […] rifulgeva dei raggi fiammeggianti della porpora» e – garantisce Eusebio – era «ornato nell’anima dal timore di Dio e dalla devozione». La cronaca encomiastica non nasconde tuttavia che, introdotto il dibattimento, subito «alcuni iniziarono ad accusare i vicini, che presero a difendersi, muovendo reciproci rimproveri», e «si levò una vivace polemica e furono sollevate molte questioni»; comunque sulla obiezione ariana prevalse, col consenso costrittivo dell’imperatore, la fede promossa da Alessandro con Atanasio: «Crediamo in un unico Dio, Padre onnipotente, creatore di ogni realtà visibile e invisibile. E in un unico Signore, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre come unigenito, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al Padre, per cui mezzo ogni realtà è divenuta. Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risuscitato il terzo giorno ed è salito ai cieli come Colui che verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E nello Spirito Santo».

Lo strabiliante invito a pranzo dell’imperatore

A fine lavori lo strabiliante invito a pranzo con l’imperatore tuttavia abbaglia alcuni vescovi, tentandoli a «credere di vedere» in «quella scena» di «sogno» niente meno che «l’immagine del regno di Cristo»! Presto infatti ci si accorge che l’interferenza della politica imperiale invece esaspera i contrasti ecclesiali non sopiti e richiede nuovi tipi di martirio, come quello di Atanasio di Alessandria, esiliato in Occidente, che a Aquileia celebra la Pasqua del 345 ospitato da Fortunaziano, o di san Martino nel 357 scacciato a frustate dai vescovi illirici che contesta, o di Basilio di Cappadocia, che verso la Pasqua 373 scrive a papa Valeriano di Aquileia: «qui la parte sana, quella che continua a difendere la religione dei Padri, è ormai stremata dalla lotta […]. Con l’aiuto però delle preghiere di voi, che amate il Signore, possa la maligna e ingannevole eresia della falsa opinione di Ario essere spenta e infine risplenda il buon insegnamento dei Padri nostri, convenuti a Nicea, così che in accordo con il battesimo di salvezza sia pienamente resa la proclamazione di gloria alla Trinità beata». Basilio si appella così all’argomento principe di Atanasio contro l’arianesimo: se la salvezza proviene all’uomo da Dio solo, perché il battesimo rigeneratore è conferito dalla chiesa – su mandato di Gesù – anche nel nome del Figlio e dello Spirito Santo?

Papa Leone il 28 novembre a Nicea Iznik davanti ai resti della basilica di Neòfito

La controversia trinitaria, che a Nicea era stata insieme troncata e paradossalmente esacerbata, finì solo nel 381 grazie a un altro imperatore, Teodosio, e a due altri concili: di Costantinopoli e di Aquileia; il Credo niceno risultò quindi confermato, cioè integralmente accorpato nel Credo che da allora accomuna alla cattolica le confessioni ortodosse, orientali e protestanti. Convinto dell’attualità del Concilio di Nicea «per il suo altissimo valore ecumenico», anche papa Leone XIV pellegrinerà il 28 novembre in Turchia fino all’incantevole Nicea / Iznik, dove del resto un secondo concilio – il VII ecumenico –terminò nel 787 un’altra sanguinosa disputa, quella iconoclasta, stabilendo che «l’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato»: e la chiesa del II Concilio niceno sussiste tuttora, benché riadibita di recente a moschea; le rovine di un’altra, eretta poco dopo il I Concilio niceno in nome di Neòfito, martire nel 303, sono invece appena riemerse dalle acque lacustri della città. Qui papa Leone sosterà testimoniando la speranza giubilare di cui vibra la Lettera apostolica “In unitate fidei”, pubblicata il 23 novembre in ricordo della fede nicena, simbolo unificante di tutti i cristiani: confermando il Dio vero fattosi uomo vero in Gesù, essa infatti «ci dà speranza nei tempi difficili che viviamo, in mezzo a […] minacce di guerra e di violenza, […] gravi ingiustizie e squilibri». Per identica ragione san Paolino d’Aquileia († 803), difensore della divinità di Cristo contro ogni sua riduzione, proclamò anche in solenne poesia: «A uomini cattolici e santi e ai trecentodiciotto / padri beati e a tutti color che del giudice eterno / coltivano la fede, che non muta mai accento, / io stringermi voglio con gioia in pacifico abbraccio!».

Alessio Persic

Articoli correlati