Non si erano mai viste, né sentite prima Maayan Inon, israeliana di 52 anni e madre di due figlie, e Sima Awad, palestinese e studentessa di 20 anni.
Si sono conosciute a Udine, all’auditorium delle Grazie pochi minuti prima dell’inizio dell’incontro pubblico – dal titolo “Due donne: israeliana e palestinese… la pace accade” – che venerdì 19 settembre le ha viste protagoniste nel raccontare il loro percorso di riconciliazione – personale e familiare –, a partire dalla perdita violenta di familiari nella decennale guerra che vede contrapposti i due popoli.

Eppure, tra Maayan e Sima è subito scattata l’amicizia, il riconoscimento reciproco tra persone che hanno gli stessi desideri di pace, di costruzione di un mondo giusto, nel quale siano bandite la violenza, la brutalità, la fame e l’orrore della guerra.
Ciò che ha reso possibile la nascita immediata della sintonia tra le due donne, provenienti da generazioni, culture, lingue, religioni e popoli diversi, è la comune appartenenza all’Associazione “Parents circle families forum”, l’importante esperienza di riconciliazione costituita da oltre 800 famiglie israeliane e palestinesi, accomunate dalla perdita violenta di uno o più familiari, ma anche dal percorso di riconoscimento dell’umanità di ogni persona.
Infatti, è proprio “Parents circle” l’esperienza che ha consentito loro di rinascere e di passare dall’odio e dal desiderio di vendetta all’amicizia, alla comprensione delle sofferenze altrui.
E nella partecipatissima serata udinese, moderata da Lorena Urli, è toccato a Maayan raccontare la tragedia della morte dei propri genitori, sabato 7 ottobre 2023, per mano dei terroristi di Hamas, che prima li hanno uccisi a bruciapelo e poi hanno incendiato e raso al suolo la loro casa a Netiv Ha’asara, un villaggio al confine con la Striscia di Gaza. Della madre non è stato trovato nulla e così, dopo dodici mesi, le autorità israeliane ne hanno riconosciuto la morte.
Eppure, già il giorno dopo la strage, domenica 8 ottobre, Maayan e i suoi quattro fratelli hanno lanciato pubblicamente il messaggio “non vogliamo vendetta”. Infatti, ha sottolineato, «era molto importante per noi, come famiglia, dirlo a tutti, perché naturalmente sentivamo e sapevamo che ci sarebbe stata una forte spinta verso la vendetta, anche se ancora non capivamo bene cosa stesse accadendo».
Le ha fatto eco Sima, raccontando l’uccisione del fratello Mahmoud di 17 anni, nel 2008, da parte di un cecchino israeliano, mentre l’adolescente protestava disarmato contro l’abbattimento delle case del suo villaggio palestinese.
«Mia mamma Bushra – sono le parole di Sima – ha perso il suo primogenito, la prima gioia della sua vita e da quel momento ha dimenticato come essere madre. Era sempre seduta a piangere e la tristezza ha riempito la nostra casa. Dopo quel giorno ci siamo dimenticati come essere felici. Anni dopo, mia madre ha iniziato a rendersi conto che stava perdendo anche gli altri figli, a causa di quel solo cecchino israeliano che aveva ucciso Mahmoud. E non voleva che ciò accadesse. Sì, aveva perso un figlio, ma non voleva perdere gli altri. Ed era piena di rabbia nei confronti dell’esercito israeliano»…
L’articolo completo, a firma di Flavio Zeni, è pubblicato nel numero del 24 settembre del settimanale “la Vita Cattolica”.