Nelle scorse settimane è tornato d’attualità il tema dell’intossicazione da botulino alimentare che ha causato in Italia, nel giro di pochi giorni, la morte di quattro persone. Due donne sarde sono decedute dopo aver consumato una pietanza a base di guacamole fatta con l’avocado, durante una festa paesana. Alle due vittime registrate in Sardegna si aggiungono altre due persone morte in Calabria per botulismo, dopo aver consumato un panino acquistato da un food truck con dentro salsiccia e friarielli, varietà di broccoli spesso conservati sott’olio. Fatti che hanno destato grande allarme, soprattutto in chi ha l’abitudine di consumare conserve e alimenti sott’olio fatti in casa. Ma cos’è il botulino? Quali sono i cibi più a rischio? A cosa dobbiamo stare attenti? Ne abbiamo parlato con Aldo Savoia, direttore del Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione dell’AsuFc (l’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale).
Dottor Savoia, quando si parla di botulino, cosa si intende?
«Forse dobbiamo più correttamente parlare di botulismo, che è la malattia che deriva dal fatto di aver ingerito delle tossine prodotte dal Clostridium Botulinum, un batterio che ha delle caratteristiche particolari. Si tratta di una malattia che noi definiamo neuro-paralitica, legata all’assunzione della tossina che entra nell’organismo, va a inserirsi nel nostro sistema nervoso centrale dando luogo a una paralisi che parte dall’alto e, quindi, interessa i nervi cranici, per esempio, e poi via via scende verso il basso».
Da cos’è causato il botulismo?
«Proprio dalla tossina prodotta. In realtà i clostridi, ovvero i batteri, probabilmente li mangiamo ogni giorno; sono presenti praticamente dappertutto e in determinate condizioni favorevoli sviluppano la tossina, il veleno più potente che esista, assolutamente naturale. Va ricordato che l’industria fa di tutto ovviamente per ridurre il rischio che questo batterio si sviluppi all’interno degli alimenti».
Come lo fa?
«Intervenendo per esempio sull’acidità dei prodotti e sulla riduzione dell’acqua libera. Il Clostridium Botulinum per poter vegetare, quindi svilupparsi e produrre la tossina, ha bisogno di una certa quantità di acqua, sopravvive solo in condizioni di anaerobiosi, cioè non deve avere ossigeno. Quindi, sia l’industria, sia noi quando prepariamo le conserve domestiche dobbiamo fare estrema attenzione a questi aspetti».
Quali sono i sintomi da intossicazione? Come facciamo a capire che abbiamo il botulismo alimentare?
«Precisiamo subito che il botulismo si prende solo per via alimentare e non è trasmissibile da persona a persona. I sintomi si manifestano da poche ore a oltre una settimana dopo il consumo dell’alimento contaminato. Più precoce è la comparsa dei disturbi, più severa sarà la malattia il cui sintomo caratteristico è una sorta di paralisi dei nervi cranici».
In dettaglio, cosa può succedere?
«Si può avere annebbiamento e sdoppiamento della vista, fastidio rispetto alla luce, difficoltà a mantenere le palpebre aperte, difficoltà nell’articolazione della parola e di deglutizione, secchezza della bocca e delle fauci, stipsi. In molti casi compare anche la ritenzione urinaria. Nelle forme più gravi si assiste all’insufficienza respiratoria che può avere esito fatale per blocco della conduzione nervosa ai muscoli responsabili della respirazione. Inoltre, la sintomatologia caratteristica del botulismo ha una progressione simmetrica, ovvero interessa sia l’emisfero destro che quello sinistro del corpo, e discendente, dalla testa, al collo, al torace, fino alla paralisi degli arti».
Come si interviene?
«Nonostante la malattia possa essere mortale, se diagnosticata in tempo si risolve totalmente in tempi che possono variare da qualche settimana a diversi mesi. Il trattamento comprende la terapia di supporto alla ventilazione e la decontaminazione intestinale con carbone attivo. Nei casi più gravi può essere necessario il ricorso alla ventilazione assistita nonché alla nutrizione parenterale. La terapia specifica consiste nella somministrazione di un siero iperimmune di antitossine botuliniche, distribuito dal Ministero della Salute tramite la rete della scorta nazionale antidoti; va somministrato il prima possibile, senza attendere gli esiti della diagnosi di laboratorio e in ambiente controllato. Pertanto, il paziente affetto da botulismo necessita del ricovero ospedaliero, possibilmente in terapia intensiva».
Quali sono i cibi più a rischio?
«Sicuramente i cibi conservati. Funghi sott’olio, le conserve di cime di rapa, ma anche conserve di carne e di pesce, soprattutto tonno, olive nere in acqua. Va precisato che il botulismo non si sviluppa consumando cibi freschi e tra le conserve, quelle sicure, sono senz’altro quelle acide e quelle con un bassissimo contenuto di acqua».
Anche in Friuli molte persone a casa realizzano prodotti sott’olio, conserve, marmellate… Quali consigli pratici dare?
«Seguire le ricette che provengono da fonti sicure. Al proposito segnalo che l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un libretto che si trova in rete, in cui vengono date delle precise indicazioni su quali devono essere, per esempio, le proporzioni di zucchero e di frutta quando si fanno le marmellate. Non va risparmiato lo zucchero, così come il sale, perché tolgono l’acqua che serve ai batteri per il loro sviluppo. Le conserve aperte vanno tenute in frigo con massima attenzione alle temperature. Il Clostridium Botulinum non si sviluppa sotto i quattro gradi. E al proposito dovremmo imparare anche a utilizzare il termometro per sapere se il nostro frigorifero è tarato correttamente. Fondamentale, comunque, è buttare il vasetto in caso di ogni minima alterazione, di un gonfiore o un odore sospetti. E assolutamente non assaggiare: basta una quantità irrisoria di tossina per generare casi drammatici».
Ultimamente in Italia di questi eventi drammatici ce ne sono stati quattro. Tutte donne. È una casualità?
«Direi di sì, non ci sono differenze tra i sessi per questa malattia».
Ma perché questa recrudescenza di casi?
«È qualcosa che ci siamo chiesti tra colleghi. Probabilmente è un po’ legata all’utilizzo di tecnologie che tendono a ridurre i conservanti affinché il prodotto sia il più possibile vicino al naturale. Ricordiamo che va molto di moda adesso l’etichetta “senza conservanti”. Va detto anche che l’industria sa gestire bene questo tipo di prodotti, dosando attentamente gli additivi, quindi l’acido citrico, lattico, ascorbico, acidificando gli alimenti in maniera adeguata per garantirne la conservazione. Va ricordato poi che con i cambiamenti climatici è più difficile mantenere la catena del freddo e nel caso delle recenti morti forse è stato fatto un errore grossolano di conservazione degli alimenti. Per quanto riguarda le preparazioni fatte in casa, va tenuto conto che tendenzialmente si è meno capaci rispetto all’industria, quindi va prestata la massima attenzione quando si realizzano prodotti da conservare».
Monika Pascolo e Valentina Pagani