L’incontro con l’acqua è stato per necessità. Aveva appena tre anni e mezzo e da poco aveva subito un delicato intervento chirurgico, in seguito a una fistola artero-venosa che, sanguinando, aveva portato a una compressione midollare. «Quel piccolo Antonio di entrare in piscina non ne voleva proprio sapere. C’è voluta molta pazienza da parte di tutte le persone attorno, da parte di mia mamma che mi portava ogni giorno in piscina. Ricordo benissimo il trascorrere di ore e giorni a bordo vasca, cercando di far sì che pian piano iniziassi ad apprezzare quell’elemento o potessi comunque averne meno paura». Poi, quel bimbo è cresciuto. E quella necessità – allora era terapia riabilitativa – è diventata «lo strumento per trasformare i sogni sportivi in obiettivi, cercando di inseguirli, raggiungerli e crescere con essi».
Antonio Fantin, classe 2001, nuotatore paralimpico di Bibione – oggi fa parte del Gruppo sportivo Fiamme oro della Polizia di Stato e della Lazio Nuoto – è appena rientrato da Singapore con tre titoli mondiali, nei 50, 100 e 400 stile libero, oltre a un bronzo nei 100 dorso. Talento e dedizione allenati da Matteo Poli di Modena.
Che allena “da Modena”. Giusto?
«Da quando abbiamo iniziato il percorso assieme, nel 2018, mi piace dire che siamo stati i precursori della Dad (sorride, ndr.), la didattica a distanza che ci ha portato ai traguardi che ci eravamo prefissati. Ci sentiamo ogni giorno: lui mi manda gli allenamenti, io i feedback e i tempi che faccio».
Una formula che funziona… Due ori olimpici, a Tokyo 2020 e Parigi 2024 (nei 100 stile libero), oltre a svariati titoli mondiali. Dopo aver vinto tutto, dove si trova lo stimolo per far fatica in acqua?
«Nella voglia di novità, di nuove sfide, di una nuova virata, una spinta diversa negli ultimi 5 metri. Sempre ricercando la nostra versione migliore, non solo sportiva. Anche umana, perché c’è sempre qualcosa di nuovo da raggiungere e questo per me, ma credo possa essere così per tutti, vale sia in acqua che fuori».
A 17 anni la prima medaglia internazionale a Città del Messico. Poi la collezione si è arricchita di podi…
«Il primo mondiale e la prima olimpiade non si scordano. Sono ricordi che rimarranno dentro per sempre. Il primo mondiale in Messico, per una serie di motivi, è indelebile. La giovanissima età, il modo in cui è arrivata la vittoria… Ero piuttosto indietro fino agli ultimi 50 metri e poi mi sono ritrovato davanti. Mi è servito da monito: nel senso che nella vita se ci vediamo indietro non è detta l’ultima parola, bisogna crederci fino in fondo. Il confronto e le difficoltà possono farci sentire in difetto. Lì ho imparato che possiamo fare cose grandi, basta crederci sempre. E in vasca bisogna tenere duro fino all’ultima bracciata».
Tu sei di Bibione, ma da sempre ti alleni a Lignano, al Bella Italia Efa Village. Il cuore è anche po’ lignanese, dunque…
«Per me la piscina di Lignano è casa. Le persone che ci lavorano mi hanno visto entrare bambino, sono cresciuto con loro. Un percorso che forse è la medaglia più grande raggiunta. Credo che, al di là delle vittorie e del successo, valga sempre il rapporto umano. Io devo ringraziarli infinitamente: da chi mi apre la piscina il giorno di Natale a chi lo fa alle 4 di mattina o alle 11 di sera, chi mi accoglie sempre con un sorriso e mi permette di allenarmi in maniera serena. Tutti loro sono la mia seconda famiglia e li porto sempre nel mio cuore, ad ogni gara».

La diagnosi della malformazione da piccolissimo. Spesso racconti che hai accettato in maniera naturale ciò che ti è successo. Immagino un ruolo primario della famiglia e degli amici in tutto ciò…
«Credo sia stata per me una grande fortuna aver avuto tutti loro sempre al mio fianco. Famiglia e amici hanno colorato la mia vita, mi hanno permesso di vivere un’esistenza normale. Non sono mai stato l’Antonio che tornava dall’asilo in carrozzina o il campione che rientra a casa dopo una vittoria. Con loro sono Antonio e basta: sono i miei normalizzatori, i miei riequilibratori…»…
L’intervista completa, a firma di Monika pasclo, è pubblicata nel numero di mercoledì 8 ottobre 2025 del settimanale “la Vita Cattolica”.