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Aver cura del fine vita. A Udine il “Dies academicus” degli istituti teologici sulle cure palliative

L’11 novembre non è soltanto il giorno in cui si ricorda San Martino; proprio per il gesto con cui viene ricordato quel Santo, ossia la condivisione del suo mantello con una persona estremamente bisognosa, nello stesso giorno si celebra anche la Giornata nazionale per le cure palliative. Forse non è del tutto casuale, quindi, che due giorni dopo – ossia giovedì 13 novembre – proprio questo tema sarà al centro della lectio magistralis che aprirà l’anno accademico degli istituti teologici interdiocesani (Studio teologico e Istituto superiore di scienze religiose) di Gorizia, Trieste e Udine. Il Dies academicus 2025 – così viene chiamato – ha infatti per titolo «Il ruolo della “Medicina delle cure palliative” come risposta al limite umano della sofferenza». Nella sala “Scrosoppi” del Seminario arcivescovile di viale Ungheria interverrà la prof.ssa Adriana Turriziani, medico, in passato presidente della Società italiana di cure palliative, già primario dell’Hospice e Cure Palliative domiciliari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e già coordinatrice del Master di alta formazione e qualificazione in Curie palliative all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Dottoressa, partiamo dalle definizioni: che cosa sono le cure palliative?

«Queste cure si configurano come un insieme di interventi diagnostici, terapeutici e assistenziali rivolti alla persona affetta da una malattia in fase avanzata, evolutiva e progressiva. E con la persona malata si aiuta anche la sua famiglia. L’obiettivo primario è migliorare la qualità di vita del malato, tutelando la sua dignità e prendendosi cura del suo dolore e della sua sofferenza. Pongono un nuovo sguardo sulla sofferenza, sulla morte e il morire e affermano importanza di non morire soli. Il coinvolgimento della famiglia nella cura rappresenta un intervento cruciale.»

Quali malattie richiedono cure palliative?

«Non si tratta solo di pazienti affetti da cancro in fase avanzata, ma possono essere anche persone con malattie croniche progressive inguaribili. La cosa interessante è che le cure palliative moderne non si interessano più solo degli ultimi giorni della vita, ma si inizia già dalla diagnosi: si parla di cure palliative precoci. Questo consente di conoscere il paziente e la famiglia, quindi anche preparare e gestire i momenti più difficili o i bisogni futuri che arriveranno con il declino dello stato di salute. Quando i medici non possono più cambiare il decorso della malattia o della condizione di cronicità avanzata, possono sempre cambiare il modo in cui una persona le attraversa.»

Chi chiede l’attivazione delle cure palliative? Il medico di base? Il paziente?

«Dovrebbe essere un percorso naturale. A ogni cambio della situazione clinica si può già parlare con il paziente e la sua famiglia della presa in carico nei servizi di cure palliative, che possono essere attivate dal medico di medicina generale o il medico ospedaliero. Certo, ai servizi di cure palliative può anche venire a bussare il paziente e la sua famiglia, ma in questo caso qualcosa non ha funzionato nel coordinamento delle cure e della rete locale di cure palliative.»

Quanto sono diffuse queste cure in Italia?

«La legge 38 del 2010 sancisce e garantisce il diritto di accesso alle reti di cure palliative in tutto il nostro paese, per gli adulti e per i bambini (perché è importante che ci siano anche cure palliative pediatriche). Secondo un’indagine Agenas del 2022, alcune regioni procedono lentamente e altre (come Trentino, Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia Romagna) sono più spedite. In Italia ci sono 307 hospice pari a 2.777 posti letto, poi ci sono tutte le cure palliative domiciliari. Dalla Legge di bilancio 2023, le regioni hanno l’obbligo di potenziare le cure palliative.»

Il titolo del suo intervento a Udine parla delle cure palliative come «risposta al limite della sofferenza». È possibile valutare la sofferenza delle persone?

«Un’adeguata valutazione dei bisogni del paziente, è il punto chiave per l’ottenimento di una buona qualità di assistenza centrata sulla persona che miri ad alleviare la sofferenza. La sofferenza va narrata, fa parte del processo assistenziale delle cure palliative e per questo serve il lavoro di un équipe multidisciplinare e multiprofessionale: oltre alla terapia medica ottimale, è necessario un concreto sostegno umano, psicologico, sociale e spirituale. Tutto questo va maggiormente insegnato nel pre-laurea e nel post-laurea.»

Ha accennato a bisogni spirituali: nell’équipe è prevista anche la figura di un sacerdote?

«Assolutamente sì. A partire dalla legge 38/2010 sono stati emanati una serie di decreti attuativi che disegnano perfettamente l’organizzazione delle cure palliative così come dovrebbe essere e definiscono anche i profili professionali dell’équipe di cure palliative. È citato anche l’assistente religioso perché la spiritualità fa parte della multidimensionalità dei problemi del paziente. Bisogna, però, che sia formato e competente. Il bisogno spirituale del paziente, espresso direttamente o attraverso le domande di senso, è sempre presente nella persona malata, soprattutto quando si trova in una condizione di gravità. Inoltre, l’assistente favorisce la costruzione di relazioni di cura tra equipe, malato e famiglia e valorizza o recupera le relazioni intra-familiari.»

A questo proposito, come ci si prepara a sostenere questo lavoro?

«Lo Stato ha previsto, l’implementazione dei percorsi formativi richiesti dalla Legge 38/2010, in ambito medico e nelle professioni sanitarie. Nei Centri specialistici di Cure Palliative l’équipe è multidisciplinare e multiprofessionale. Per i medici dal 2020 c’è anche la scuola di specializzazione di “Medicina e cure palliative”, è stato definito il percorso universitario (pre-laurea e posto laurea) per i medici e per le professioni sanitarie e ogni regione dovrà integrare concretamente le competenze delle Cure Palliative all’interno degli ordinari percorsi di cura anche attraverso la formazione continua per tutti i membri dell’équipe.»

In generale, come incidono le cure palliative sulle richieste di eutanasia (o di suicidio assistito)?

«Prendendosi cura della totalità della persona (e quindi di quegli aspetti clinici e assistenziali, ma anche emozionali, psicologici, sociali, spirituali ed etici), oltre alle cure farmacologiche giuste si dà più spazio alla componente umana e interiore della persona, alla ricerca di senso nel tempo residuo, si esaltano le relazioni, le emozioni: allora vediamo che si riduce sensibilmente la richiesta di morte. Quando arrivano alle cure palliative, il paziente e la famiglia è come se finalmente si sentissero accolti totalmente. Vorrei sottolineare che spesso la richiesta nasce perché c’è stato un vuoto assistenziale. La Legge 38/2010 ha introdotto il diritto a “non soffrire”.»

Giovanni Lesa

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