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Opinioni

Cala l’interesse per l’Europa? Non guardiamoci l’ombelico

Nel profondo Nordest il valore dell’essere europei è in crisi. È quanto emergerebbe da un recente sondaggio effettuato da Demos, che ha coinvolto un campione di circa 1.000 intervistati sopra i 18 anni tra Friuli-Venezia Giulia, Veneto e provincia di Trento. Ad attribuire maggiore significato all’identità europea rispetto a quella del proprio Stato di appartenenza è il 42% degli intervistati.

Se è vero che in Italia l’opinione pubblica ha una naturale tendenza a guardarsi l’ombelico – basti pensare allo sproporzionato interesse per la politica interna – è altrettanto vero che nel medio periodo sono fatti, scelte e dinamiche che hanno preso forma altrove ad avere ricadute sul nostro vivere quotidiano.

Quando il cittadino medio si trova ad affrontare le conseguenze di qualche provvedimento impopolare, il mantra è spesso «Ce lo chiede l’Europa». Proprio quest’anno in cui, a giugno, saremo chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento europeo, vale la pena ricordare che l’Europa siamo anche noi. Anche l’Italia, infatti, esprime una folta schiera di eurodeputati, ben 76 su un totale di 705 – la cui maggioranza relativa, col 35%, è al momento espressa dalla Lega.

Il sondaggio di Demos ha confermato che l’identità europea è percepita come sempre meno importante. A vederla preponderante rispetto a quella statale, nel 2015 era il 50% degli intervistati, per passare al 46% del 2019 e giungere al 42% di cui abbiamo già scritto.

Se dal 2019 qualcosa è ulteriormente cambiato, certo non ha giovato la gestione della pandemia a livello globale. Alle nostre latitudini ha presto messo in dubbio le acquisizioni del trattato di Schengen. Da marzo 2020, per qualche anno sono schizofrenicamente comparsi e scomparsi confini e controlli. E pensare che una quindicina di anni fa erano stati smantellati tra grandi festeggiamenti. Passerà ancora un po’ di tempo prima che, in Friuli, si dimentichi la velocità con cui grossi massi sono apparsi ad ostacolare il valico di Polava, tra Italia e Slovenia, all’indomani dello scoppio dell’emergenza pandemica.

Il cadere di tante barriere e l’euforia di un’Europa che poteva solo andare verso un’integrazione sempre maggiore hanno avuto una grossa spinta, negli ultimi decenni, anche dal fatto che la minaccia sovietica fosse stata relegata alla storia. Oggigiorno, però, il suo erede della Russia putiniana fa da spauracchio a poche centinaia di chilometri da qui, nello scontro con l’Ucraina. Anche guardando a quanto accade tra Israele e Gaza (e a quanto accaduto già ai tempi della dissoluzione dell’ex Jugoslavia) è sempre più evidente in quali settori una comune identità europea, concepita come unità d’intenti, manchi.

Le istituzioni europee prestano grande attenzione alla tenuta dello spazio economico europeo. Sia chiaro, il mantenimento del relativo benessere faticosamente raggiunto dopo la seconda guerra mondiale aiuta ad allontanare la ricomparsa di tensioni sociali e conflitti. Viviamo in un’epoca in cui, paradossalmente, può essere più conveniente comprare un’auto di marchio giapponese prodotta in diverse parti del mondo e poi trasportata qui. Eppure da oltre vent’anni la paghiamo in euro – con un prezzo molto più «calmierato» rispetto a quanto avremmo potuto pagarla se circolassero ancora le lire.

Ma l’Europa non è ancora capace di sviluppare una politica estera europea organica e coordinata, per non parlare di un comune sistema di difesa europeo o un comune presidente. E pensare che al momento non regge più nemmeno la scusa della ritrosia del Regno Unito.

Oltre i sondaggi, resta il quotidiano del nostro Friuli. Anche durante le chiusure legate alla pandemia non sono mancati gli spostamenti (più o meno legali) da una parte all’altra dei confini, magari attraverso boschi o montagne. E, passato il periodo delle chiusure, in un anno o poco più scambi e spostamenti dei friulani sono presto ripresi. Sia per il pieno di benzina in Slovenia, sia per andare a fare spese o alle terme in Austria. Anche i nostri vicini di casa sono presto tornati da noi – al mare, a fare acquisti o a mangiare –. Dalla Slovenia, forse, le visite sono addirittura aumentate. Per rendersene conto, basta fare una passeggiata per Udine o Pordenone nel pomeriggio, prestando attenzione ai passanti o alle automobili in sosta.

Con buona pace di chi vagheggia il ritorno alla lira, sono passati vent’anni dal definitivo passaggio alla valuta comune dell’euro. È già cresciuta una prima generazione che non conosce nient’altro che questa valuta comune. Insieme ad essa, dà ormai per scontati molti dei valori condivisi dallo spirito di un’Europa comune.

Luciano Lister

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