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Opinioni

Carenza di stagionali in agricoltura. Combattere lo sfruttamento

Il Friuli-Venezia Giulia, con la sua varietà di colture — dal vino di qualità ai piccoli frutti, dalle colture da seme e foraggere alla produzione di qualità come i vini DOC e DOCG — è una regione dove il lavoro agricolo stagionale riveste un ruolo cruciale. Ogni anno migliaia di lavoratori sono necessari per garantire la raccolta e la trasformazione dei prodotti locali, ma le aziende agricole friulane si trovano sempre più spesso in difficoltà nel reperire manodopera disponibile e qualificata.
Secondo i dati ISTAT, in regione operano circa 13.216 aziende agricole (2023) che, durante le campagne di raccolta, impiegano complessivamente ogni anno tra i 14.000 e i 15.000 lavoratori stagionali a tempo determinato, di questi il 54% risulta provenire da altri paesi, mentre i lavoratori italiani stanno lentamente abbandonando il settore

Nonostante l’alto valore di certe produzioni, le motivazioni di questo allontanamento vanno ricercate nelle condizioni di lavoro che restano difficili: giornate di 8-10 ore sotto il sole o alle intemperie durante le varie fasi produttive con mansioni ripetitive e usuranti, periodi di inattività e quindi di mancato reddito e se a questo ci aggiungiamo paghe non sempre regolari, contratti e buste paga non consegnate, straordinari non riconosciuti, in più indennità di malattia e/o infortunio che non essendo anticipati dal datore di lavoro, arrivano dopo mesi con tempi troppo lunghi da parte dell’Inps, il risultato è che questi contratti a termine di breve durata e senza quei vincoli previsti per gli altri settori non danno quella stabilità economica che la nostra società richiede, non sono attrattivi e in un contesto sociale che possiamo definire come un inverno demografico, spingono anche quei lavoratori che da anni lavorano con continuità nel settore (italiani e immigrati) a spostarsi in altri comparti più stabili e remunerativi.
Le donne, invece, sono occupate prevalentemente nell’ambito vivaistico e agrituristico: lavorare nei campi, nei quali spesso non è possibile accedere ai basilari servizi igienici e i lavori fisicamente gravosi, non le aiutano.
Per la donna, in ogni caso, il contratto stagionale è quasi sempre penalizzante soprattutto quando decide di avere figli.
E i giovani? Sempre meno giovani accettano di lavorare nei campi in quanto il settore è ormai percepito povero, di scarsa dignità e di poche prospettive. Quelli che si avvicinano spesso se ne vanno dopo la prima esperienza perché scontenti e scoraggiati da un sistema poco trasparente e a volte ingiusto.

Tutto questo, nel corso degli anni, ha reso difficile reperire personale stagionale anche per quelle aziende virtuose che hanno sempre rispettato le norme e garantito una retribuzione giusta e gratificante.
Inoltre, dopo la pandemia la situazione è drasticamente peggiorata e ha visto il dilagare del fenomeno degli appalti in Agricoltura, fino a qualche anno fa irrilevante confinato a qualche fase lavorativa e altamente specializzata, ora invece modello predominante di occupazione, con i primi casi, addirittura, di subappalto delle lavorazioni. Preoccupa il fatto che quasi tutte le aziende agricole si affidano a pseudo imprenditori pakistani (“Aziende agricole senza terra”) che “assumono”, per poi sfruttare, i propri connazionali per svolgere lavorazioni su fondi di proprietà altrui presso tutto il territorio regionale, offrendo vitto, alloggio e trasporto.
Il fenomeno si avvia, nella gran parte dei casi, attraverso la regolare stipula di contratto di lavoro, che nasconde però, come sempre più frequentemente viene denunciato dagli stessi lavoratori, irregolarità e condizioni di sfruttamento lavorativo, mancata denuncia delle giornate lavorate e buste paga che indicano neanche un decimo delle ore lavorate, mancati pagamenti degli stipendi. E quando i bonifici vengono effettuati, una parte viene restituita in contanti di fronte ad uno sportello bancomat. I lavoratori che si rivolgono a noi ci evidenziano inoltre la mancata sorveglianza sanitaria e rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro a dir poco ignorate.
Per il comparto la carenza di manodopera è diventata strutturale. Da anni si sollecita l’istituzione della sezione territoriale della rete del Lavoro agricolo di qualità. È sui territori che si gioca la riuscita delle politiche di integrazione e dove conoscenza e azione devono essere promosse insieme, organizzazioni sindacali e professionali, istituzioni e organi di vigilanza, per combattere sfruttamento e segregazione lavorativa dei lavoratori immigrati devono puntare su nuove interazioni con tutti gli attori coinvolti nella gestione del mondo del lavoro agricolo per tutelare assieme il lavoro nel comparto e nella massima legalità.
Serve inoltre, uno sforzo congiunto di imprese, istituzioni regionali e sindacati per garantire condizioni di lavoro dignitose e retribuzioni adeguate. Incentivare i giovani, sensibili alla tutela e alla sostenibilità ambiente attraverso corsi di formazione legati alla viticoltura di qualità o all’agricoltura biologica, per rendere questo lavoro più attrattivo anche in chiave di sviluppo professionale. Solo così il settore agricolo friulano potrà continuare a garantire la qualità dei suoi prodotti, proteggere la propria identità territoriale e mantenere viva una tradizione che è anche economia e cultura.

Francesca Pezzutto
Segretaria regionale Fai Cisl FVG

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