Se si pensa a un prete attivo sui social media, quasi sicuramente il pensiero va a quel giovane sacerdote milanese che durante la pandemia iniziò a pubblicare video in cui spiegava aspetti della vita cristiana e della Chiesa stessa. Sono passati più di cinque anni e, da allora, la presenza digitale di don Alberto Ravagnani è radicalmente cambiata; così come è cambiata la sua vita sacerdotale, passando da “curato” di Busto Arsizio a prete impegnato direttamente nella pastorale in una metropoli come Milano. Ciò che non è cambiato invece è lo slancio evangelizzatore di questo giovane sacerdote classe 1993 che lo scorso 27 giugno è intervenuto a Grado in una serata organizzata congiuntamente dal quotidiano Avvenire con il supporto dalla parrocchia e del comune gradesi, oltre che del settimanale diocesano di Gorizia “Voce isontina”.
Don Ravagnani, a Grado ha parlato di «Fede in rete: spiritualità e comunità nel mondo connesso»: le due cose possono stare insieme?
«Il concetto di comunità on-line cambia: non ci sono riferimenti di spazio e di tempo, così come ci sono, invece, in una parrocchia. Ecco allora che il concetto si evolve e diventa community, una comunità che non si definisce in relazione allo spazio.»
Però una comunità in senso stretto insiste su un territorio…
«Il mondo digitale è l’occasione per vedere che anche la società civile è cambiata e meno legata al territorio: le persone si spostano, lavorano in una città e vivono in un’altra, la gente va a Messa dove ha i figli a catechismo o dove sono gli amici. Come le parrocchie devono cambiare, così anche il concetto di comunità deve cambiare. Io credo che questo sia un valore positivo: non insistere tanto sull’appartenenza territoriale, ma sull’appartenenza di cuore. Sono i legami significativi a fare la comunità.»
C’è quindi un diverso tipo di appartenenza (sempre che di appartenenza di possa parlare)?
«Sì, sicuramente, attenzione però a non dimenticare che comunque abbiamo bisogno di appartenenze fisiche: non basta essere parte di un gruppo WhatsApp o di una community online, occorre anche incontrarsi. Il virtuale è reale, ma – semplicemente – è diverso dalla dimensione fisica. Quando queste dimensioni si integrano e coesistono, quando nel virtuale si parla di un incontro fisico oppure viceversa, ecco che allora nasce qualcosa di nuovo che fa molto bene alle persone.»
La sua presenza on-line è nata durante la pandemia, è passata da una palestra di Milano e, oggi, è ancora diversa… come è evoluta?
«La mia esperienza è evoluta perché il Signore mi ha fatto evolvere spostandomi in un’altra città, facendomi conoscere altre persone e altri contesti. C’è un continuo sentirsi “in uscita”, un mettersi in gioco rispetto alle istanze del mondo per annunciare il Vangelo. Questo mi ha portato dapprima a pubblicare video, poi a creare progetti di comunicazione con i ragazzi e a far nascere un’associazione, poi è nata la community di Fraternità (giovani di tutta Italia in contatto on-line che si incontrano un paio di volte all’anno, animati da un gruppo di giovani che vivono insieme a don Ravagnani, ndr), poi mi sono trasferito a Milano. Qui non ho più un oratorio, non ho spazi per accogliere, quindi sono uscito io… proprio lì dove stanno le persone, anche in palestra. Ho frequentato podcast, studi televisivi, spazi laici, appunto perché lì sta la gente. Alla base c’è l’idea di assecondare un pochino la realtà, convinto che dentro la realtà ci sia la voce di Dio che mi dice cosa fare.»

Quali possono essere, a suo avviso, alcuni buoni atteggiamenti per abitare la cultura digitale oggi?
«Il mondo digitale ha tante opportunità, ma, come tutte le esperienze, presenta anche dei rischi. Se si è consapevoli dei rischi, allora si sa come muoversi. È importante considerare che i social media sono fatti per mettere in mostra non l’autenticità della vita, ma ciò che scegliamo noi. E quindi, guardando quello che pubblicano gli altri, è importante ricordarci che quello che vediamo sui social non esaurisce la realtà di nessuno, tantomeno la nostra.»
Ha citato la community di Fraternità. Anche qui in Friuli ci sono alcuni giovani che frequentano la community e hanno partecipato agli incontri. Qual è l’obiettivo di questi eventi?
«L’obiettivo è proprio quello di far vivere alla community un’esperienza di incontro fisico. Pregare insieme, guardarsi negli occhi, abbracciarsi, divertirsi, parlare. Tutto questo ha bisogno di uno spazio e un tempo definiti, ha bisogno di attività, di un contesto. Ecco che, allora, nascono degli incontri per far sì che quello che sui social si vede a distanza, mediato da uno schermo, possa essere sperimentato concretamente. E perché poi, a partire da questi incontri, nasca un fuoco, un’energia che tutti portano a casa propria, col desiderio di testimoniare anche virtualmente quello che hanno vissuto.»
Giovanni Lesa