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Opinioni

“Così 10 anni fa ho attraversato la rotta balcanica”

Lasciarsi tutto alle spalle perché la vita è diventata impossibile, perché sei stato preso di mira dai talebani. Affidare la tua vita ai trafficanti, viaggiare nascosto – stipato con altri nel bagagliaio di un fuori strada – perché per uscire dal tuo amatissimo Paese devi farti invisibile. E poi attraversare clandestinamente i confini, essere derubato, patire la fame. Attraversare i Balcani a piedi. Finire in prigione lungo il cammino. Pensare innumerevoli volte che stai per morire. Vedere i tuoi compagni di viaggio morire, di freddo, di fame, perché non ce la fanno più. È toccato a me, nel 2015. A me che ho raggiunto l’Europa percorrendo quella che, proprio in quell’anno, divenne famosa come “rotta balcanica”. In quell’estate insieme a me c’erano altre 800 mila persone provenienti soprattutto dalla Siria dove la guerra si era fatta terribile. All’inizio di settembre la foto del piccolo Alan Kurdi – trovato riverso sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, dopo aver tentato la traversata verso la Grecia con la sua famiglia – fece il giro del mondo. Ve la ricordate? La commozione fu globale. E sull’onda di quell’emozione, Angela Merkel fece una scelta coraggiosa, aprì le porte della Germania ai siriani. Di quel “lascia passare” in qualche modo ne beneficiai anche io che invece sono afghano. Da mesi vivevo bloccato in Serbia, nei pressi della stazione di Belgrado. Non potevo andare né avanti, né – tanto meno – indietro. Poi il miracolo e tantissima incredulità. A pensarci adesso sembra la vita di un’altra persona. Invece è stata la mia. E sono profondamente grato a Dio per la forza che mi ha dato, ma soprattutto per le persone che lungo la mia strada ho incontrato. Lungo la rotta, in Grecia, ma soprattutto in Serbia: uomini e donne che ogni giorno scendevano in strada (molti di loro continuano a farlo anche oggi) per garantirci un pasto, per fornirci cure, per farci sentire quel calore umano indispensabile per vivere. È anche grazie a loro che sono arrivato vivo in Italia dove ho trovato la stessa solidarietà nelle persone che mi hanno accolto ed accompagnato, insegnandomi la lingua, orientandomi nei servizi e nel percorso legale per ottenere la protezione umanitaria. Oggi lavoro, pago le tasse, e provo a essere un buon “nuovo italiano” per onorare quella solidarietà ricevuta. Non avete idea di quanto grande sia la mia felicità in questo, anche se ogni giorno sento come una fitta fortissima la nostalgia per la mia famiglia, più di tutto mi manca mia madre. A volte, di notte, mi sveglio con la netta sensazione di aver sentito la sua mano carezzarmi il volto. C’è però anche un altro motivo di grande tristezza. In questi dieci anni l’avversione per le persone migranti si è fatta sempre più forte, i discorsi di odio, di cui si riempiono la bocca anche tanti uomini e donne della politica, fanno accapponare la pelle. Cosa abbiamo fatto di male per meritarcelo? E cosa ha fatto di male l’Europa per farsi avvelenare così? Nel 2015 io ho visto un confine aprirsi, ma subito dopo, già nella primavera del 2016 hanno cominciato a crescere muri ed è ricomparso il filo spinato, anche dentro lo spazio di Schengen. Di pari passo ho anche visto la democrazia farsi sempre più fragile, quella democrazia che ho sognato tutta la vita e che mio padre, fin da quando ero bambino, mi ha incoraggiato a inseguire. È davvero questo il futuro che vogliamo per la nostra Europa? Per la nostra Italia? Proviamo a costruirne insieme uno di pace e convivenza.
F.A.

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