Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
L'editoriale

Così salveremo la sanità

C’è un filo sottile, ma decisivo, che oggi rischia di spezzarsi nella sanità pubblica italiana: quello che unisce la competenza alla relazione, la tecnologia alla persona, la cura alla cura dell’altro. È il filo dell’umanità.
Da tempo, il sistema sanitario nazionale attraversa una crisi profonda. La carenza di medici di base, le dimissioni crescenti dagli ospedali, il progressivo invecchiamento del personale e il senso diffuso di abbandono tra i cittadini sono segnali inequivocabili di un modello in affanno.
Sempre più spesso, il cittadino si sente un numero, un caso clinico, una voce su un gestionale. È difficile parlare con il proprio medico, ottenere continuità assistenziale, ritrovare quella fiducia che un tempo era parte integrante del percorso di cura.
Questo è il risultato di aver trascurato in questi ultimi anni importanti segnali, di fallimento della logica aziendale basata sul raggiungimento di obiettivi economici e finanziari, considerando residuale l’uomo. Pertanto si rende necessario promuovere un cambio di paradigma nella filiera della salute, che va costruito interamente sulla persona/paziente, ridando centralità alla dimensione umana.
Per esempio nel 1978 poco prima che il Sistema sanitario nazionale prendesse forma, Franco Basaglia realizzò una delle più profonde trasformazioni della medicina e della società italiana. Non si trattò soltanto di una riforma sanitaria, ma di una vera rivoluzione culturale: riconoscere la persona prima della malattia. La sua eredità ci ricorda che un ospedale senza umanità rischia di essere un luogo di esclusione, mentre un sistema sanitario fondato sulla dignità può diventare spazio di accoglienza e rinascita. E Massimo Recalcati ci dice che accogliere un paziente significa innanzitutto fare spazio alla sua parola e che lo strumentario clinico-terapeutico non può esser usato se non in riferimento a questa postura di fondo.
Negli ultimi anni, il tema dell’umanizzazione delle cure è tornato al centro del dibattito sanitario non come un’aspirazione retorica, ma come una necessità strutturale. L’umanizzazione non è un’utopia romantica. È un modello concreto, che riguarda il modo in cui costruiamo gli ospedali, formiamo i medici, organizziamo i servizi.
Significa architetture accoglienti e non ostili; percorsi assistenziali che integrino competenza e ascolto; professionisti preparati sul piano tecnico ma anche capaci di empatia e comunicazione.
Non si tratta solo di fare bene, ma di essere per l’altro.
L’Università di Udine, attraverso il Master in Umanizzazione delle Cure nell’organizzazione e gestione del sistema sanitario nazionale, ha scelto di affrontare questa sfida in modo sistemico, coinvolgendo medici, infermieri, architetti, filosofi, giuristi, ingegneri e neuroscienziati.
L’obiettivo è creare una nuova cultura della cura, in cui l’umanizzazione non sia un tema “di nicchia”, ma una competenza trasversale, parte integrante del bagaglio professionale di chi opera nella sanità del futuro. Un viaggio collettivo per rimettere al centro la persona, ascoltare chi cura e chi è curato, ricostruire un dialogo tra cittadini, istituzioni e professionisti.
Perché l’umanizzazione non si insegna in un’aula: si pratica, si costruisce ogni giorno, con scelte, comportamenti, relazioni. L’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale è stata coraggiosa ed ha voluto promuovere un cambio di paradigma epocale attraverso la istituzione di un “board” di umanizzazione delle cure per affrontare in modo sistemico questo delicato momento che rischia di creare una distanza siderale tra una medicina che cresce e si potenzia e l’essere umano abbandonato a favore di una logica tecnocratica che valorizza il dato anziché la persona.
Le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale, la chirurgia robotica, le piattaforme di telemedicina rappresentano conquiste straordinarie, ma l’innovazione, senza umanità, genera freddezza; l’efficienza non può rappresentare l’unica metrica del progresso e senza empatia nel nostro mondo si produce solitudine.
L’umanizzazione non è dunque in contraddizione con la tecnologia, ma la sua condizione di senso. È ciò che consente di trasformare la potenza dei mezzi in valore per la persona. Il nostro FVG può rappresentare un grande laboratorio di sperimentazione ed innovazione, introducendo il concetto di ospedale diffuso, abbiamo infatti proposto un Hub regionale dell’umanizzazione delle cure ed il benessere organizzativo, per un’alleanza strategica di sistema tra gli attori chiave del sistema attraverso la creazione di un incubatore di Innovazione e Progresso della Cura Sanitaria. La necessita di considerare il Ssn un pezzo di casa nostra ci impone a ripensare ai modelli di cura ed alla reciprocità delle relazioni in un ambiente conforme a spazi ed architetture favorevoli. Il tema città-salute caratterizzato da una società che deve tendere al benessere delle persone, per riprogettare in chiave umanistica l’impianto concettuale delle nuove città, cablate sì, ma con umanità, un modo di riumanizzare la modernità attraverso il valore che viene dato all’ospedale diffuso “mimetizzato”…ossia una città sana e sicura.

Massimo Robiony
Università di Udine

Articoli correlati

Segni di nuova umanità

«Missionari di speranza tra le genti». È questo è lo slogan per la 99a giornata missionaria mondiale che si celebrerà domenica 19 ottobre in tutte le parrocchie e le comunità cristiane del mondo. Uno slogan che non solo…

Lo sport è politica

Lo scorso anno, alla fine della sua gara olimpica a Parigi, la velocista afgana Kimia Yousofi ha mostrato il retro del suo pettorale. Vi aveva scritto tre parole, nei colori della bandiera del suo Paese: Education, Sport, Our…

Suore, libertà inedita

La vita consacrata femminile affonda le sue radici nella novità assoluta del Vangelo. La resurrezione di Gesù inaugura un tempo nuovo, nel quale cade l’obbligo della procreazione come unica forma di benedizione e compimento…