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Opinioni

È finita l’epoca del coro-comunità. Il futuro? I tanti cori scolasici

Dopo numerosi mandati alla presidenza del Coro Polifonico di Ruda, Pier Paolo Gratton ha lasciato l’incarico ed è stato sostituito da Gabriele Rampogna. A La Vita Catotlica racconta com’è cambita la coralità negli ultimi sessant’anni

Ho cominciato a cantare in coro nel 1972 all’età di 18 anni. Per me l’ingresso nell’associazione significava tante cose: innanzitutto la possibilità di condividere con persone più adulte un percorso culturale comune; poi la felicità di uscire di casa in modo autonomo e di affrontare da solo trasferte anche di più giorni; infine il senso di comunità che quell’esperienza portava con sé. Infatti il coro partecipava con il canto alle più importanti festività religiose della comunità paesana e questo era un motivo di orgoglio e di condivisione praticamente con tutto il paese che non solo in quelle occasioni si stringeva al coro che quasi sempre, ogni domenica, allietava i compaesani nel bar del paese dopo la ‘messa grande’.

Ho avuto la fortuna di entrare in un coro già strutturato. Che aveva alle spalle trent’anni e più di storia, con partecipazioni a decine e decine di concorsi corali provinciali, regionali e nazionali. Il coro era disciplina, era studio, era volontà di esprimere una qualità che settimanalmente veniva sottoposta al giudizio serio e competente del maestro direttore. Studiare la polifonia del Quattrocento e del Cinquecento, cantare autori quali Palestrina, di Lasso, da Victoria, Gallus, Grossi da Viadana, Ruffo e altri era una sorta di sfida con me stesso per riuscire a stare al passo con i più dotati o con coristi di provata esperienza. Insomma il coro era una palestra di vita, di cultura e perché no anche elemento per un sano divertimento. Infatti in quegli anni non venivano tralasciate le villotte che poi entravano quasi nel dna del coro per essere proposte dopo le prove o dopo i concerti fino alle ore piccole. E poi c’era la competizione con i cori degli altri paesi con i quali si partecipava alle tante rassegne della zona e ci si scontrava nei concorsi di Vittorio Veneto, Udine, Gorizia, Arezzo. I cori più strutturati e battaglieri erano quelli dell’area triestina e del monfalconese.

Una prima grande cesura fu quella del terremoto del 1976. In pochi anni sorsero cori praticamente in ogni paese del Friuli, alcuni dopo pochi anni erano già saliti agli onori della cronaca per capacità di reperire repertorio nuovo e bravura stilistica. I quotidiani locali davano ancora un profondo contributo alla crescita di questi complessi con recensioni alle volte anche radicali, ma utili al miglioramento tecnico e vocale del coro.

Che cosa resta oggi di quell’esperienza? La società in questi sessant’anni è profondamente cambiata ed è logico che sia cambiato anche il modo di fare coro. Se prima il coro era espressione del paese (il coro-comunità) oggi i cori sono un insieme di coristi che provengono anche da molto lontano, che hanno voglia di fare una esperienza a prescindere. Si lavora ‘per progetto’ e questo significa che uno stesso corista, solitamente diplomato, partecipa a più cori, facendo esperienze multiple senza legarsi ad un coro che non è più neppure espressione della comunità dove canta a causa in primis dell’inverno demografico che contraddistingue la società d’oggi. Non sono molto ottimista per il futuro. Non so se tra dieci o vent’anni la coralità sopravviverà agli stravolgimenti sociali che stiamo vivendo, all’Intelligenza artificiale, agli smartfone, a facebook, a X e altri amenicoli vari che occupano in modo sempre più ampio e devastante le giornate dei nostri giovani. Sicuramente l’epoca del coro-comunità è finita per sempre.

Ma è tutto negativo? Siamo al De profundis della coralità. Non direi. C’è della brace che cova, pronta ad esplodere in fiamme potenti e vigorose. Mi riferisco in particolare al lavoro che si sta facendo con i cori di voci bianche e i cori scolastici. Una semina importante che non può non dare frutti. Il problema è di capire come fare in modo che questo patrimonio vastissimo non vada disperso e che i giovani possano trovare soddisfazione a cantare in coro anche dopo i 12-15 anni. Penso che questa sia la scommessa che abbiamo difronte e che può essere vinta.

Pier Paolo Gratton

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