
È iniziato il mese di maggio, i giardini si profumano di fiori che si aprono alla primavera; i bambini e i ragazzi con maggior frequenza abitano i cortili con bici e palloni; i capitelli e le ancone votive riaprono le loro inferriate e mani, spesso rugose, posano un casalingo mazzetto floreale ai piedi di statue o quadri mariani, sostando qualche minuto per chiedere grazie per figli e nipoti a quella sacra immagine che silenziosa accoglie e custodisce. Ed è incrocio di sguardi, ma è, soprattutto, consapevolezza che oltre quegli occhi di simulacro c’è attuale e vero l’evangelico dire: “Ecco tua madre”.
Nel discepolo presente ai piedi della croce di Gesù, tutti noi siamo rappresentati. In ogni epoca e ad ogni latitudine ciascuno di noi può sentirsi guardato come figlio. Credo sia questo il nucleo fondante e significativo che allaccia ogni generazione di cattolici alla Madonna e da cui scaturiscono fiumi di devozione, di arte, di studi, di storie. Le nostre umane storie sono attraversate da bisogni bambini di tenerezza e comprensione, sono segnate da relazioni importanti e fragili e preziose che desideriamo mettere al sicuro in scrigni pregiati palpitanti affetto e protezione. Le nostre storie umane balbettano volentieri sillabe primarie: “mamma”.
L’Ave Maria rimane anche al tempo della Generazione Alpha la preghiera che per prima viene insegnata e che più frequentemente si intona. A semplici domande: “Chi guarda la Vergine Maria?” e “Come ci guarda?” Papa Francesco rispondeva: “Guarda tutti noi, ciascuno di noi. Ci guarda come Madre, con tenerezza, con misericordia, con amore. Così ha guardato il figlio Gesù, in tutti i momenti della sua vita, gioiosi, luminosi, dolorosi, gloriosi, come contempliamo nei Misteri del Santo Rosario, semplicemente con amore.”
Possiamo regalarci un’ora e accomodarci dietro la colonna della nostra chiesa di paese o di quartiere e scoprire il silenzioso via vai che sosta ai piedi dell’altare della Madonna: non è solo la nonna a giungere le rugose mani, ecco il ragazzo con zaino in spalla che, magari un po’ superstizioso, chiede un voto migliore del dovuto all’imminente verifica scolastica, o la giovane commessa che fa precedere l’accensione di una fiammella di cera alle ore di lavoro, ma ecco anche il nonno che approfitta di una pausa in officina e, per amore del figlio, affida la salute dell’amata nuora. E poi la badante che spinge la carrozzina e approfitta dell’Ave Maria del suo assistito per dire anche lei nella lingua materna la preghiera invocante la pace dove marito o figlio combattono a difesa di confini lontani o di valori mescolati a interessi potenti che si imbrogliano a dismisura. E arriva la mamma spingendo il passeggino ed è tenero scoprire che anche lei, come le fu fatto dalla sua mamma, prende la mano della sua creatura e mentre disegna una croce sul corpicino infante, pronuncia il nome di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo: è professione di fede e introduzione alla ripetizione lenta e fiduciosa dell’“Ave Maria”.
Un mondo variegato che non fa notizia, ma che contribuisce a inserire il filo d’oro della storia della salvezza al telaio della storia più grande e che, come per la Festa della mamma, riconosce il valore di ogni madre. Festa, che si sa, il commercio suona su ben altra partitura, ma che da dietro quella colonna di parrocchia assume valore universale, cattolico appunto, e fa sperare che in quel via vai orante ogni generazione ritrovi il bandolo della sua testimonianza e della sua fede.
Suor Carla Sirch
Suore Rosarie