Una lingua diffusissima (oltre 440 mila i suoi locutori) soprattutto in Carnia, nel Medio Friuli e nella fascia collinare; un numero molto elevato (ma ancora insufficiente) di docenti abilitati al suo insegnamento nelle scuole; la necessità di rivalutare l’applicazione delle normative sulla sua tutela. E soprattutto la necessità di rinvigorire quella che è stata definita “Cultura dell’autonomia”. A distanza di 26 anni dall’approvazione della Legge 482 con cui il Friulano è stato ufficialmente riconosciuto quale lingua minoritaria e oltre quattro anni dopo l’ultima edizione, la quarta conferenza regionale sulla lingua friulana svoltasi lunedì 9 giugno a Gorizia è stata l’occasione propizia per interrogarsi sullo stato di salute della marilenghe nei suoi vari ambiti di utilizzo e apprendimento. A proporre la conferenza è stata la regione Friuli–Venezia Giulia, in particolare nella sua agenzia per il Friulano, l’Arlef; sul palco e in platea, diversi rappresentanti di amministrazioni locali, dell’Università di Udine, di associazioni impegnate nella promozione linguistica, insegnanti e soggetti a vario titolo interessati alla diffusione della marilenghe.

«Questo appuntamento ha la duplice funzione di evidenziare i risultati fin qui raggiunti e di condividere idee, proposte e soluzioni per migliorare ulteriormente la tutela di questa lingua», ha sottolineato l’assessore regionale alle Autonomie locali con delega alle Lingue minoritarie, Pierpaolo Roberti. «Dalle prime interlocuzioni avviate con l’ARLeF già nel 2018 – ha ricordato l’assessore – emergeva il quadro di una lingua sì diffusa capillarmente nel territorio regionale, ma con la percezione di un utilizzo esclusivamente domestico. Gli sportelli linguistici negli enti pubblici, la distribuzione di copie della Costituzione in marilenghe, la valorizzazione del Friulano sul posto di lavoro sono solo alcuni degli strumenti introdotti per incentivarne l’utilizzo in ogni ambito sociale». Il presidente del Consiglio regionale Mauro Bordin, dal canto suo, ha evidenziato le due direttrici principali su cui continuare la promozione e la tutela del Friulano: la scuola e il mondo della comunicazione.
«Prima delle norme serve un’identità solida»
«La Regione ha iniziato nel 2002 a trattare con lo Stato le sue politiche linguistiche, ma rispetto alla legge 482 del 1999 non sono stati previsti ampliamenti della loro applicazione» ha notato nel suo intervento la professoressa Elena D’Orlando, giurista dell’Università di Udine. «Da allora molto nella società è cambiato… Se si vuole tentare di ampliare gli spazi di normazione per perseguire obiettivi di politica linguistica, allora bisogna riportare lo Stato a trattare sul tavolo della Commissione paritetica», ha affermato D’Orlando, citando la commissione da lei stessa presieduta. «La condizione per poterlo fare – ha riconosciuto – è che la società friulana possieda un elemento immateriale, la “Cultura dell’autonomia”, ossia la percezione della propria identità friulana e in particolare linguistica. Le norme intervengono in un secondo momento, solo, cioè, se l’autopercezione della propria identità è sufficientemente solida da tradursi in politiche pubbliche».
L’articolo completo e approfondito è disponibile sul numero dell’11 giugno del settimanale La Vita Cattolica
Giovanni Lesa