Il “Rosso di Buja”, 39 anni compiuti a maggio, correrà domenica 19 ottobre la Veneto Classic – con partenza da Soave e arrivo a Bassano del Grappa –, e sarà la sua ultima gara da ciclista professionista. «Rispetto agli standard a cui sono abituato, ovvero a gare lontano dal Friuli, tutto sommato sono vicino a casa e quindi sarà più facile per chi mi ha sempre seguito esserci».
Lì, dietro le transenne, ad applaudire e a condividere le emozioni dell’addio al mondo del ciclismo di Alessandro De Marchi saranno in tanti: a partire dalla sua famiglia in prima fila – la moglie Anna e figli Andrea, 7 anni, e Giovanni, 4 –, i suoi amici e i tanti sostenitori del “Rosso di Buja”, come è da sempre soprannominato. Quelli che – in 15 stagioni nel professionismo – non hanno mai fatto mancare il tifo al loro beniamino. Che di soddisfazioni ne ha date, eccome.

Nel palmares del corridore friulano – che sta concludendo la carriera con il team Jayco-AlUla – brillano le tre tappe vinte alla Vuelta a España (2014, 2015, 2018), una tappa al Critérium du Dauphiné (2013), una tappa al Tour of the Alps (2024), e una vittoria al Giro dell’Emilia (2018) e alle Tre Valli Varesine (2021). Un De Marchi indimenticabile ha anche indossato la maglia rosa per due giorni al Giro d’Italia 2021 e si è aggiudicato il premio della Combattività al Tour de France 2014, per essere andato in fuga cinque volte. Ha vestito la maglia azzurra in quattro edizioni del Mondiale in linea e alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016.
Alessandro, partiamo dalla fine che sarà per te un nuovo inizio. Quali sono i sentimenti che ti accompagnano in questi giorni?
«Ovviamente sono un po’ dolci e amari, nel senso che sono arrivato a questo punto con il sorriso, con tante soddisfazioni e, quindi, vado incontro curioso a quello che sarà il dopo. Nello stesso tempo si chiude una parentesi molto lunga e significativa della vita che mi ha caratterizzato…».
Cosa ti mancherà di più?
«Il tifo, passare tra la gente e ricevere tutto quell’affetto».

Cosa, invece, non ti mancherà affatto?
«La parte più agonistica del mio lavoro che in questi anni ha preso una direzione piuttosto esasperata: una sorta di aggressività sportiva che non sono riuscito ad accettare. Compendo che la definizione sia forte, ma rende l’idea. Nel mondo del ciclismo c’è sempre stata competizione tra avversari, ma adesso l’aggressività del plotone è davvero tanta…».
Cosa c’è nel tuo futuro? Immaginiamo che la bici non sarà appesa al chiodo…
«Continuerò a far parte del mondo del ciclismo professionistico. A breve dovrei riuscire a concludere l’accordo per diventare direttore sportivo a partire da gennaio. Passerò dall’altra parte della barricata e sarò quello che segue la squadra dalla macchina. È qualcosa che in questo momento mi attira parecchio, mettendomi quel pizzico di curiosità di cui si ha bisogno quando si affronta un cambiamento».
Ora che sappiamo come sarà il domani, volgiamo lo sguardo indietro. Alessandro com’è iniziata la lunga avventura in bici?
«Per gioco e di questo ne vado molto fiero: tutto è nato da un’iniziativa promozionale organizzata dalla Ciclistica Bujese. Poi c’è stato un lento, naturale e graduale progredire; il mio impegno e la mia passione per la bici mi hanno portato ad un cambio di vita quando, nel 2011, sono diventato professionista. Prima ho militato nella Ciclistica, poi nel Gruppo sportivo Caneva, nel Team Bibanese e nel Cycling Team Friuli»…
L’intervista comopleta, a firma di Monika Pascolo, è pubblicata sul numerodel 15 ottobre del settimanale “la Vita Cattolica”.