I parcheggi dei cimiteri insolitamente pieni, il freddo umido di inizio novembre, le foglie che cadono. Un fiore – la tradizione vuole che sia un crisantemo – sulla tomba dei propri cari. Si avvicinano le giornate in cui le comunità celebrano la memoria dei propri cari defunti. La Chiesa, peraltro, anticipa la commemorazione dei defunti del 2 novembre con la celebrazione di Ognissanti il giorno precedente, 1° novembre, per ricordare di anno in anno il legame della morte con la sua prospettiva ultima di eternità. Una prospettiva, tuttavia, sempre meno condivisa nella società e, probabilmente, anche tra gli stessi cristiani. Come è cambiato il nostro rapporto con la morte? Cosa dice alla società la morte una persona, parte della società stessa? Possiamo parlare di “allontanamento” della morte? «Sicuramente ci sono dei fattori che prima ancora di allontanarci dalla morte ci hanno allontanato dall’esperienza della malattia, dell’età della vita anziana, a volte rallentata» afferma il prof. Giovanni Grandi. Docente di filosofia morale all’Università di Trieste, a La Vita Cattolica e Radio Spazio Grandi ha esplorato la complessità di questa percezione – quella della morte – nella società e nelle comunità di oggi. «La vita attiva si prolunga, ed è senz’altro un dato positivo, ma poi si fa più fatica a riconoscersi nel tempo dei bilanci e dei congedi, che viene percepito come un tempo triste, a cui non pensare, proprio perché richiama al termine della vita».
Prof. Grandi, oggi tante persone muoiono fuori casa (in ospedale o nelle case di cura) e spesso anche in solitudine, senza parenti accanto. Anche questo sta cambiando il nostro rapporto con la morte?
«Nel tempo sono cambiate tante cose, che peraltro non dipendono da scelte personali rispetto al morire. Oggi assistiamo a un allungamento della vita, una notizia sicuramente positiva per tanti aspetti; tuttavia, molto spesso accade che le età più avanzate della vita siano trascorse in solitudine. Alle volte il non avere persone accanto dipende da come si è vissuto, ma sempre più spesso dipende anche dalla difficoltà nel trovare spazio nei luoghi e nei ritmi delle vite dei figli: ci sono stili di vita collettivi, dimensioni abitative e modi di gestire il tempo a disposizione che limitano le possibilità di ospitalità in famiglia delle persone anziane, specie quando ci sono problemi di perdita dell’autonomia. Proprio il prolungamento della vita attiva fa sì che il passaggio dall’autonomia in età avanzata alla necessità di cura intensiva sia talvolta repentino e richieda un riassetto delle vite non così facile.»
Anche il linguaggio gioca la sua parte: sempre meno chiamiamo la morte con il suo nome, parlando sempre più di scomparsa, addio, ultimo viaggio, “altra sponda”…
«Chiamare le cose difficili con il loro nome è un modo per includerle nella vita, ma possiamo farlo solo quando ci siamo confrontati con loro maturando una posizione. Le allusioni e le metafore sono un parlare sottovoce, un po’ come quando si accenna a dei fatti suggerendo che non è il caso si parlarne. La morte è un fatto difficile, tuttavia non darsi la possibilità di affrontare l’argomento rischia di renderla più estranea, non meno provocatoria e inquietante.»
Quanto incidono due processi sociali come la secolarizzazione e la crescita dell’individualismo?
«Nel “non pensare la morte”, incidono molto. Il processo di secolarizzazione ha certamente indebolito culturalmente l’idea che le vicende di questa vita possano essere pensate anche a partire dalla speranza in un’altra vita. Tendiamo a vivere una realtà che si chiude nell’orizzonte storico e facciamo fatica a pensare una dimensione avvolta nel mistero, come quella dell’eternità. Siamo più disincantati rispetto alle generazioni passate, i linguaggi metaforici degli antichi non ci soddisfano ma d’altra parte non ne abbiamo di alternativi. Se manca un modo per rivolgere il pensiero all’aldilà della morte, anche la morte rimane più inesplorata come problema e rimane semplicemente la fine della storia.»
L’intervista completa, a cura di Giovanni Lesa, si può leggere nell’edizione de La Vita Cattolica del 29 ottobre 2025.













