«Per le giovani generazioni “il futuro è il presente”. Ma non si può essere perennemente on line, in “tempo reale”. Perché un’educazione al cambiamento è possibile soltanto se esiste anche un’educazione alla stabilità». È la saggia conclusione del sociologo Daniele Marini, docente dell’Università di Padova, che in questi giorni ha dato alle stampe “Il futuro è il presente. I giovani visti con la lente della formazione professionale”, ossia il secondo rapporto dell’Osservatorio Giovani e futuro di Engim, la rete di formazione dei Giuseppini del Murialdo.
In un’ampia intervista a cura di Francesco Dal Mas pubblicata sulla Vita Cattolica del 26 novembre 2025, Marini afferma tra l’altro che «l’ignoto rappresenta la nostra nuova frontiera e, per lo più, la condizione entro la quale siamo costretti a prendere le decisioni. È il nostro vincolo, ma anche la risorsa del futuro. Siamo costretti a prendere decisioni in tempi rapidi e pur disponendo di molte informazioni, non sappiamo se l’esito sarà effettivamente quello atteso. Da qui la paura. Sono in discussione le ormai poche certezze alle quali siamo stati socializzati nei decenni precedenti».
A proposito del rapporto adulti-giovani, Marini sottolinea che dalla sua indagine «non si rileva una effettiva conflittualità fra le generazioni così come avveniva in passato. Anzi, emerge una situazione ambivalente nel rapporto con gli adulti, se non ambigua: il 53,5% dei giovani interpellati dichiara di avere con loro un dialogo, ma a volte non si comprendono; il 43,2% riceve regole di comportamento, ma che non vengono adeguatamente motivate; il 31,5% vede nei genitori sì un riferimento, ma non così importante. Il dialogo in famiglia, poi, è sostanzialmente polarizzato: il 30,9% si confronta stabilmente con la propria madre, solo il 18,2% con il padre. Il 73,1% ritiene che gli adulti lavorino perché devono, e non sono né felici né infelici».
Ne esce un’immagine di adulti che Marini definisce “sbaditi”. «Adulti presenti, ma assenti dal punto di vista dei significati, quindi di difficile identificazione agli occhi degli adolescenti. Ma anche adulti che non trasmettono passioni per ciò che fanno, quindi incapaci di coinvolgimento. Si pone così un tema di riuscire a costruire relazioni significative e dotate di senso fra giovani e adulti».
L’intervista integrale si può leggere sulla Vita Cattolica del 26 novembre 2025













