Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
CulturaDigitaleGiovani

On-line tra relazioni-vetrina e amici artificiali. A Udine Giuseppe Riva, psicologo dei media

«I giovani ci stanno chiedendo di essere ascoltati senza giudizio». Solo che non lo dicono a noi adulti (o per lo meno, non esplicitamente da permetterci di capirlo), ma lo affermano con l’immediatezza di una “chiacchierata” con ChatGPT o di una foto particolarmente curata da “postare” (ossia pubblicare) su Instagram. Si direbbe che si tratta di illusioni. Già, ma di chi? Dei giovani? Degli adulti? Dei sistemi di intelligenza artificiale? «Le illusioni delle relazioni digitali: dai social media all’intelligenza artificiale» è proprio il titolo di un convegno che il Centro solidarietà giovani “Giovanni Micesio” ha organizzato venerdì 24 ottobre a Udine. L’incontro è stato promosso in occasione del 50° anniversario di fondazione del Centro che si occupa di formazione, terapia delle tossicodipendenze e sostegno psicoterapeutico e ha visto gli interventi di Luca Chittaro, docente di Interazione persona-macchina all’Università di Udine, e Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia e Nuove tecnologie della comunicazione all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e autore di numerose pubblicazioni. Proprio Riva è intervenuto anche su Radio Spazio e La Vita Cattolica per raccontare alcuni dei temi della sua conferenza udinese.

Prof. Riva, il suo intervento si intitolerà «Io, noi, loro. Le relazioni ai tempi di social media e IA». Che caratteristiche hanno le relazioni su Instagram o Facebook?

«Io le chiamo relazioni-vetrina. Come le vetrine sono studiate in modo tale da rendere al massimo la qualità dei prodotti che vengono presentati, noi facciamo la stessa cosa sui social».

Cosa intende?

«Nelle relazioni che abbiamo sui social non mostriamo tutti noi stessi, ma esibiamo una versione curata, costruita ad hoc per raggiungere l’attenzione e l’interesse degli altri. In più, oltre a essere curata, questa comunicazione è asincrona, cioè non in tempo reale. Significa che abbiamo tempo per pensare, modificare, creare; tutta la spontaneità tipica della relazione faccia a faccia viene a mancare. Anche il corpo, che è lo strumento che consente di comunicare in maniera più efficace, viene controllato e modificato. Nessuno online “posterebbe” una storia in cui non è vestito in modo adeguato o non si comporta in maniera efficace. Per questo le relazioni on-line sono basate più sull’immagine che sulla conoscenza profonda. Quando noi vediamo un influencer online, in realtà non vediamo il vero influencer, ma una sua immagine costruita ad hoc per attirarci e attirare il nostro interesse.»

L’intervento del prof. Giuseppe Riva il 24 ottobre a Udine

Trascorrere tanto tempo sui social media (alcune ricerche parlano di oltre 5 ore al giorno!) ci sta dis-abituando a relazionarci “di persona”?

«Assolutamente sì perché le relazioni offline, quelle faccia a faccia, sono piene di attrito. Ci sono i silenzi, le negoziazioni, la noia, i momenti vuoti. Invece i social ci abituano a un’interazione immediata, ottimizzata e sotto controllo totale. Se non so cosa dire non dico niente, se non mi piace l’influencer scorro col dito e passo a un’altra storia.»

Ci stiamo semplificando troppo la realtà?

«On-line siamo meno tolleranti e meno abili a gestire la complessità e l’imprevedibilità dell’incontro faccia a faccia. Un conto è lasciare un fidanzato o una fidanzata dicendogli: “Non ti amo più” guardando negli occhi, un conto è scrivere un messaggio su WhatsApp.»

Si discute molto sul divieto di utilizzo dei social media sotto ai 13 anni (l’Australia addirittura ne vieta l’utilizzo fino ai 16 anni senza il consenso dei genitori). A questa età è meglio vietare del tutto o avviare percorsi educativi?

«Io sono convinto che sotto ai 13 anni effettivamente ci sia un problema di competenze e di capacità, però dai 13 anni ai 16 anni (che è l’altra fascia critica) in realtà serve un percorso educativo, una specie di patente digitale. Se ho 14 anni e voglio andare sullo scooter devo studiare e fare la patente. Probabilmente on-line dovremmo fare la stessa cosa: a 14 anni vuoi andare sui social? Bene, studia e fai la patente.»

Chi dovrebbe rilasciare queste “patenti”?

«La scuola molto spesso non ha le competenze per educare a questi mondi. Anche la famiglia può trovarsi in difficoltà, può non avere le risorse per spiegare come usare efficacemente queste tecnologie. Secondo me ci vuole un ente esterno (come è stata la motorizzazione per la patente) a cui affidare il compito di verificare se le conoscenze minime dei nostri figli sono adeguate per poter affrontare il complesso mondo dei social.»

A proposito di giovani, una recentissima ricerca dell’istituto Toniolo e di IPSOS, presentata sabato 18 ottobre, dice che quasi il 70% degli studenti delle scuole superiori chiede una formazione adeguata all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come leggere questo dato?

«Mostra innanzitutto che i nostri figli hanno capito che l’intelligenza artificiale non è soltanto un gioco o qualcosa che permette di fare delle immagini o dei video, ma diventerà lo strumento che in qualche modo avrà un ruolo centrale nel loro futuro lavorativo e sociale. È una richiesta forte, un messaggio che riguarda il mondo adulto e dice che davanti ai cambiamenti portati dall’intelligenza artificiale il giovane vuole essere aiutato.»

È diffusa anche l’abitudine, per i più giovani, di avere “un chatbot per amico”, parlando dei propri problemi con un sistema di intelligenza artificiale. Cosa ci stanno dicendo questi ragazzi?

«Vogliono essere ascoltati senza giudizio. Il messaggio che questi giovani danno a noi adulti è che si sentono parte di un mondo dove c’è una forte pressione dalla società e dalla famiglia, che chiedono loro di essere performanti e perfetti. Spesso non c’è uno spazio con gli amici, con i genitori in cui potersi veramente sfogare. Probabilmente questa esigenza è più forte di quella che percepiscono i genitori, quindi l’uso dei chatbot è un probabile segnale che dobbiamo ascoltare. Il vantaggio che ha il chatbot è che i giovani possono parlare di se stessi senza essere giudicati. Anzi, i chatbot, per come sono realizzati, non mettono mai in discussione chi “parla” con loro, quindi la sensazione che hanno i giovani è che in fondo stanno sbagliando poco.»

Giovanni Lesa
Ha collaborato Valentina Pagani

Articoli correlati