«I will begin with a word in English, and the rest is in Italian». Significa che la prima omelia di Robert Francis Prevost – pardon: Leone XIV – da Papa è iniziata con qualche parola in lingua inglese, prima di passare all’italiano. Due lingue che, assieme allo spagnolo, il nuovo Papa maneggia con estrema naturalezza.
Ma sono state tante le parole chiave che il nuovo Papa ha snocciolato nella mattina di venerdì 9 maggio durante la Messa nella Cappella sistina celebrata assieme ai cardinali che meno di 24 ore prima lo hanno eletto al soglio di Pietro. Leone XIV, apparso già a suo agio con le insegne pontificie, ha parlato di misericordia, missione, circoli di potere, temi cari al suo predecessore Francesco, peraltro citato anche stavolta. Ma ha dato a queste parole un radicamento nel Vangelo tale da far scorgere in lui una profondità biblica, culturale e morale assai importanti. Ma anche – e questo è l’elemento di piacevole attualità di questo Papa – con abile capacità di attualizzare sia le parole del Vangelo, sia la loro stessa profondità. «Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre», ha affermato a inizio omelia. Per ben nove volte Leone ha citato Gesù Cristo, rimarcando l’essenzialità di nutrire «un rapporto personale con lui», «vivendo insieme l’appartenenza al Signore».

Ha parlato di fede, Leone XIV, una fede su cui si radica la missione raccolta in eredità da Francesco. «Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Eppure – ha affermato –, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco».
Come nel momento della sua presentazione al mondo ha fatto riferimento al saluto di Cristo Risorto, così fin dalla sua prima omelia Papa Leone ha indicato la necessità di mettere e rimettere sempre Gesù al centro della vita dei credenti. «Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”».

E poi c’è un’altra parola, che Leone XIV non ha mai pronunciato esplicitamente ma rappresenta senza dubbio un tratto distintivo della sua personalità, scolpita dal carisma agostiniano. È la parola libertà, intesa come servizio disinteressato alla causa del Vangelo. Citando Sant’Ignazio di Antiochia, infatti, Leone ha guardato a sé e ai cardinali sedutigli dinanzi per richiamare l’«impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato». Questa libertà deve essergli propria, così come il tema dell’unità richiamato fin dal suo motto episcopale: «In Illo uno unum», ossia «Nell’unico (Cristo) siamo uno».
Libertà e missione, fede e unità. E, soprattutto, fede in Gesù Cristo. Queste le fondamenta di una casa mite e sorridente, quella che il nuovo successore di Pietro sta continuando a edificare.
Giovanni Lesa