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L’aborto nella Costituzione. La deriva del modello francese

di Gian Luigi Gigli

“Libertà, libertà: quanti delitti si commettono in tuo nome!”

Nel riflettere sul recente voto dell’Assemblée Nationale (la Camera dei deputati francese), a favore dell’introduzione del “diritto” all’aborto nella Costituzione, il pensiero torna inevitabilmente alla celebre frase pronunciata dalla girondina Madame Roland mentre veniva condotta alla ghigliottina.

Nel corso di meno di 50 anni, l’aborto volontario, catalogato come criminoso nei manuali di ostetricia e ginecologia allora in uso nelle università italiane, nella comunicazione corrente è stato progressivamente ridefinito come scelta sofferta da depenalizzare, libera scelta da sostenere e tutelare, diritto de facto con conseguenti censure dell’Europa verso gli Stati che ancora ponessero qualche limitazione, diritto scritto nelle leggi di molti Paesi. Nessuno, tuttavia, aveva ancora pensato di inserire l’aborto tra i diritti costituzionalmente garantito.

Altre volte nella storia si era prodotto un disallineamento tra diritti degli esseri umani (non necessariamente considerati persone) e diritti civili dei cittadini. Basti pensare che ancora nel 1857 la Corte Suprema degli Stati Uniti poteva ribadire che gli esseri umani di pelle nera non erano persone e non godevano dei diritti dei cittadini.

Oggi la discriminazione torna a realizzarsi con l’aborto volontario per l’embrione e il feto, esseri umani in uno stadio di sviluppo che, se non interrotto nella sua continuità, lo porterà a diventare neonato, bambino, ragazzo, adulto, vecchio. Torna con l’eugenetica della selezione embrionaria. Torna drammaticamente con l’eutanasia post natale del protocollo di Groeningen. Torna con la negazione delle cure per i bambini inguaribili imposta dalle sentenze dei tribunali inglesi.

Ma può la morte del più debole essere addirittura inserita nella costituzione di un paese democratico? Non è questa la perversione ultima della libertà? Non è il crimine della libertà a cui faceva riferimento Madame Roland mentre veniva condotta al patibolo?

Non stupisce che l’aborto nella costituzione francese sia fortemente voluto dal presidente Macron, condizionato dall’ideologia “repubblicana” di derivazione rivoluzionaria e massonica, impegnato per di più nel tentativo di recupero (a costo zero) di consensi in forte calo.  Stupisce semmai l’ampiezza del voto a favore della modifica costituzionale: 493 sì e solo 30 no, un divario che segnala lo smarrimento di ogni buon senso, prima ancora che di ogni valore. Una maggioranza “bulgara” del 94 % a favore del provvedimento, testimonia in modo drammatico lo strapotere dei diritti civili sull’etica dei diritti umani, uno strapotere facilmente trasferibile in altri contesti e che segnala ancora una volta il prevalere allarmante di quella che Papa Francesco ha definito la cultura dello scarto.

In Francia la parola passa ora al Senato, anche se con scarse possibilità di un soprassalto di etica e di un ripensamento del buon senso.

Inutile nascondersi che in Italia andiamo purtroppo nella stessa direzione.

La ricostruzione dell’umano incomincia qui da noi dalla applicazione delle parti volutamente oscurate e nei fatti cancellate della legge 194/1978. Si tratta semplicemente di sostenere dalla violenza di un aborto non desiderato le tante donne che ne farebbero a volentieri a meno se sostenute economicamente, psicologicamente, socialmente, legalmente, spiritualmente. Si tratta di promuovere e proporre davvero le alternative all’aborto che la stessa 194 prevede, attivando una rete di solidarietà e di prevenzione che, se non un ideale di giustizia, almeno la bomba della denatalità dovrebbe suggerire di applicare ed estendere.

Per noi cristiani si tratta di non desistere dalla responsabilità per la costruzione di un nuovo umanesimo che grava sulle nostre spalle, annunciando che ogni vita umana, anche quella più fragile è un dono prezioso.

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