«La condizione dell’umanità – quindi anche nostra – è una condizione di oscurità, di tenebra, di incertezza sociale e nel futuro. Ma proprio in questa situazione di oscurità si rende presente una luce, l’unica in grado di penetrare nelle tenebre che ci avvolgono». Nel buio della notte di Natale, durante la Messa natalizia in una pienissima Cattedrale, a Udine, l’arcivescovo mons. Riccardo Lamba ha così riassunto il significato della celebrazione che la Chiesa vive in quella che i canti della tradizione chiamano “notte Santa”. L’allusione di mons. Lamba è alle “tenebre” di «incertezza sociale e nel futuro, di minaccia percepita per i conflitti (anche quelli in atto), di degrado ambientale, di precarietà del lavoro, di incertezza delle relazioni interpersonali, nelle famiglie, tra i ragazzi, tra i giovani». Elementi concreti, oscurità diffuse, che necessitano di una luce immanente e imminente.

«Oggi possiamo diradare le tenebre»
«Nella liturgia, nelle grandi solennità come quella di oggi – ha proseguito il Vescovo -, si sottolinea con forza l’attualizzazione del mistero celebrato con un avverbio: “Oggi è nato il Salvatore”; oppure il giorno di Pasqua, “Oggi il Signore è risorto”. O il giorno dell’ascensione: “Oggi Gesù è asceso al cielo”. È proprio oggi che noi vogliamo augurarci gli uni gli altri che la semplicità, l’umiltà, la povertà, la luce – che irradiano da questo bambino – possono diradare le tenebre che sono presenti nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nella società civile, in tanti luoghi di conflitto».
«È la luce che viene da un bambino, che si offre a noi fragile, debole, povero, indifeso, impotente, pur davanti a tutte queste oscurità». E parafrasando le parole della prima lettura della notte, tratte dal Libro del profeta Isaia, mons. Lamba ha ricordato che «È proprio questo il bambino che ci viene donato: solo lui è in grado di fugare le nostre paure, i nostri timori. Solo lui è in grado di disarmare le nostre mani, le nostre parole, i nostri pensieri, i nostri sentimenti così tanto aggressivi».

«Con Gesù, scopriamo di avere un Padre che salva»
Molto accorata anche l’omelia che l’Arcivescovo ha pronunciato nella Messa del giorno di Natale, in una Cattedrale udinese gremita tanto quanto nella Messa della notte. Per mons. Lamba non si è trattato della prima Messa giornaliera: alle 9, infatti, aveva incontrato le persone detenute nel carcere di Udine per celebrare con loro la Messa “dell’aurora”. Rientrato in Cattedrale, nella sua riflessione mons. Lamba ha sviluppato il rapporto tra Gesù e il Padre, come tracciato nel primo capitolo del Vangelo di Giovanni (proclamato nella liturgia).
«Il padre è colui che si prende cura del figlio, quindi tutte le attenzioni sono sul figlio, anche quando costa fatica o porta a rimandare propri programmi, attese, gratificazioni», ha constatato il presule. «Vengono fatte tante rinunce da parte di coloro che, in qualche modo, sono padri: il focus è sul figlio, è di lui che bisogna prendersi cura. Il padre che fa tutto questo – ha proseguito mons. Lamba -, lo fa con amore e per amore. Proprio per questo, la sua paternità viene vissuta garantendo la libertà, perché crede nella forza dolce e convincente dell’amore, l’unica capace di suscitare una risposta amorosa da parte del figlio verso di lui e verso gli altri, in un senso che potremmo definire di fraternità».
«Credo – ha concluso – che il mistero del Natale sia tutto qui: scoprire con gioia di avere un Padre che nel Figlio Gesù ci ha salvati dal peccato, cioè da tutto ciò che rischia continuamente di dividerci da lui e dagli altri nostri fratelli e sorelle.
Non si ferma la carità
La Chiesa diocesana vive il Natale anche nella carità. Come ogni giorno, anche nel mattino della vigilia si sono registrati diversi accessi al centro di ascolto diocesano di via Treppo, a Udine. Non si è fermata nemmeno a Natale, invece, l’opera della Mensa diocesana “La Gracie di Diu”, che il 25 dicembre ha erogato circa 130 pasti: nel numero natalizio de La Vita Cattolica, pubblicato il 17 dicembre, raccontiamo la storia di una delle volontarie: «Una condivisione – ha testimoniato – che restituisce un senso di completezza».
Giovanni Lesa













