Recarsi nei cimiteri, il pomeriggio dell’1 e il 2 novembre, «non è soltanto il ricordo di chi non c’è più, ma è il riconoscimento di Colui che è in mezzo a noi, vivo, e che dà la vita. E fare memoria dei defunti non è qualcosa di privato – io orno la “mia” tomba, porto i fiori sulla tomba della persona che conosco… – ma è sentire più forte e vicina, soprattutto se la morte di una persona cara è stata recente, la partecipazione non soltanto affettuosa ma anche orante dell’intera comunità cristiana». A ricordarlo è mons. Loris Della Pietra, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, in un’intervista trasmessa su Radio Spazio e pubblicata sulla Vita Cattolica del 29 ottobre 2025.
«Immaginiamo le donne che vanno al sepolcro il primo giorno dopo il sabato – esorta mons. Della Pietra –: portano gli unguenti che servono per imbalsamare un corpo morto e lo trovano vivo. Queste donne sono al plurale, non ce n’è una sola. Questa è la Chiesa che torna ai sepolcri dei suoi figli e lì riscopre come nuovo l’annuncio della vita!».
Il rito delle esequie, «anelito di vita che va oltre la morte»
«La tradizione cristiana da sempre conosce l’abitudine di seppellire i morti in un contesto di preghiera – prosegue mons. Della Pietra –, dove afferma in maniera molto forte la fede nella risurrezione del Signore, che diventa anche speranza di vita per i nostri fratelli che concludono il loro cammino terreno. La ragione per cui si celebrano i funerali è racchiusa in questo anelito di vita che va oltre la morte, che per noi ha un nome e un volto: quello di Cristo crocifisso e risorto. È lui la nostra speranza e la nostra vita».
Illustrando il valore e i segni e significati del rito delle esequie, il direttore dell’Ufficio liturgico diocesano chiarisce che «la Chiesa propone due forme di rito. La prima, la più conosciuta e anche la più praticata ad ora, è il funerale nella celebrazione dell’Eucaristia. Un’altra possibilità è la liturgia della parola, scelta ad esempio quando il defunto o la sua famiglia provengono da un cammino di fede meno solido o che si è interrotto per vari motivi. Entrambe le forme si concludono con il rito “dell’ultima raccomandazione e del commiato”, l’ultima consegna che la comunità cristiana fa a Dio di questo fratello. È un rito di saluto che affonda le sue radici nella consapevolezza più antica della Chiesa e cioè che la morte per i cristiani è soltanto un arrivederci. Prevede una breve introduzione di colui che presiede, un momento di preghiera silenziosa, l’aspersione con l’acqua benedetta e l’incensazione del corpo (destinato alla gloria, a vivere per sempre). In conclusione, una preghiera, strutturata come una consegna: “Nelle tue mani, Padre clementissimo, consegniamo l’anima del nostro fratello con la sicura speranza che risorgerà nell’ultimo giorno insieme a tutti i morti in Cristo.” Poi un rendimento di grazie: “Ti rendiamo grazie, o Signore, per tutti i benefici che gli hai dato in questa vita, come segno della tua bontà”. Infine un’invocazione: “Nella tua misericordia senza limiti, aprigli le porte del paradiso” fino a chiedere il ricongiungimento nostro con coloro che stiamo salutando. Dopodiché, ovviamente se questa è la modalità che è stata scelta, ci si avvia verso il cimitero».

A proposito di sepoltura e ceneri. «Il morto non è un “oggetto” mio»
A proposito del significato della sepoltura mons. Della Pietra spiega che essa «richiama la sepoltura stessa del Signore nella terra, ma anche un ritorno alla terra. Questa stessa terra nella quale tutti noi ci troviamo e che deve essere oggetto anche di cura. Ma quella permanenza nella terra in realtà prelude ad un’abitazione eterna, stabile in Dio».
Infine Della Pietra chiarisce la posizione della Chiesa riguardo alla prassi della dispersione delle ceneri dei defunti cremati. «Su questo tema la Santa Sede è intervenuta con un documento già una decina d’anni fa – spiega –. La Chiesa non si oppone alla cremazione in sé. D’altra parte ritiene che le ceneri non vadano disperse né raccolte in gioielli o conservate in casa. E per una ragione semplice e importante: il morto non è un “oggetto” mio. Ciò che rimane del corpo deve essere custodito in un luogo proprio – il cimitero – in cui sia possibile fare una preghiera, accendere un lume, portare un fiore. La “privatizzazione” della morte non permette questa forma di pellegrinaggio orante alla tomba del defunto. La sepoltura è una forma di distacco, ma nello stesso tempo anche di comunione più autentica, in modo che ci possa essere un ricongiungimento nuovo e permanente».












