«La tragedia del piccolo Giovanni è anche la tragedia della sua mamma, del suo papà e di tutta la comunità. Nonostante l’attivazione dei servizi sociali, del tribunale, del Centro di Salute Mentale, della Caritas parrocchiale e della comunità cristiana di Muggia non si è riusciti ad impedire che la ferocia della violenza si scagliasse contro il più innocente: un bambino di nove anni». A dirlo è il Vescovo di Trieste, Enrico Trevisi, all’indomani della tragedia consumatasi mercoledì 12 novembre a Muggia, dove una donna con problemi mentali, Olena Stasiuk, ha ucciso il figlio Giovanni. Il bimbo era affidato al padre, e fino a pochissimo tempo fa poteva vedere la madre solo in incontri protetti.
«Succede nelle guerre. Succede anche nei drammi famigliari. Con tutte le gradazioni di disagio, di colpa, di malattia, di angosce ribollenti. Ci scopriamo tutti incapaci di proteggere i più piccoli che restano i più indifesi, vittime innocenti, incolpevoli, pure – continua mons. Trevisi –. In qualche modo ci riportano alla vittima innocente che è il Cristo Crocifisso. E ci rammentano che il male ancora è presente ed è assassino. Siamo chiamati a ritrovare uno spazio di silenzio, di riflessione sulla presenza del male e su come non lasciarci travolgere dalla tentazione semplicistica del trovare il capro espiatorio. Certo che dobbiamo impegnarci a fare in modo che non si ripetano più queste tragedie. Ma purtroppo, nel frattempo, dobbiamo anche accettare la nostra sconfitta, il fallimento della nostra pretesa organizzativa che vorrebbe eliminare il male e la morte innocente. Siamo chiamati a fare i conti che la nostra umanità così vulnerabile, la nostra cultura gracile, le nostre istituzioni sociali e sanitarie non possono debellare la costitutiva fragilità esibita da questo dolore innocente. Abbiamo bisogno di guardare altrove per essere salvati dal mistero del Male e della morte».
«Come comunità cristiana – conclude mons. Trevisi – siamo chiamati ad alzare lo sguardo al Cristo Crocifisso, Agnello innocente e immolato. E con Lui a ripartire con nuovo vigore; ad impegnarci per i piccoli, sempre schierati dalla parte degli innocenti. E a piangere per quando non abbiamo fatto abbastanza. E a chiedere perdono per quando non siamo stati capaci di prevenire il male che si annida dentro di noi, fin dentro le nostre famiglie e le nostre comunità. Solo così, insieme, per Grazia, potremo ripartire, portando i pesi gli uni degli altri. Stando accanto a chi soffre e cercando di esserci accanto ad ogni persona ferita e vulnerabile».
I fatti
Mercoledì sera a Muggia Olena Stasiuk, 55 anni di origine ucraina, ha ucciso il figlio Giovanni di soli 9 anni. La donna era seguita dai Servizi sociali e dal Centro di salute mentale e di recente aveva ottenuto il permesso di trascorrere del tempo da sola con il figlio, dopo che si era separata dal padre del bambino, un uomo di 58 anni di Trieste. È stato proprio lui a lanciare l’allarme poiché l’ex moglie non aveva riaccompagnato a casa il piccolo alle 21 come da accordi e non rispondeva al telefono. Quando gli agenti della Polizia sono intervenuti sul posto con i Vigili del fuoco, intorno alle 22, hanno raggiunto l’appartamento di via Marconi con un’autoscala, trovando il corpo del bimbo senza vita in bagno, morto da ore, e la donna in stato di choc con alcuni tagli sulle braccia. La 55enne avrebbe utilizzato un coltello da cucina per compiere l’omicidio, tentando poi un gesto autolesionista. Presa in cura dai sanitari è stata portata all’ospedale triestino di Cattinara e poi condotta nella Casa circondariale di Trieste.
La comunità di Muggia si è risvegliata ieri in un incubo ed è profondamente scossa, tanto che il sindaco ha proclamato il lutto cittadino. «La situazione era seguita da quando è nato il bambino – ha detto Paolo Polidori –, sottolineando che «era una situazione difficile ma non un dramma», nel senso che nulla faceva presagire che potesse sfociare in una tragedia. «La comunità è devastata. Ho già avuto una riunione con i servizi sociali: cerchiamo di stare il più vicino possibile», detto ancora Polidori. Il Comune si è anche subito attivato per organizzare un servizio di assistenza ai compagni di classe della piccola vittima.
Il parroco, don Andrea: «Ora c’è una comunità da sostenere»
La famiglia era conosciuta e il bambino inserito nella vita comunitaria, tra scuola e parrocchia, ha raccontato il parroco di Muggia, don Andrea Destradi. «Conosco la famiglia, molto complicata. C’è una parola che caratterizza questa situazione, ed è fragilità – ha evidenziato don Destradi –; una fragilità che forse sfuggiva alle capacità della nostra comunità». Il parroco ha visto «il bambino con il papà sabato sera a messa, frequentava il catechismo nella scuola slovena dove era iscritto e si preparava per la Prima comunione». Per don Destradi «ora c’è una comunità che deve farsi carico di questa immane sofferenza che l’ha colpita nel cuore, c’è un papa da aiutare, da abbracciare e sostenere e una mamma che nel suo disagio ha compiuto questo gesto e che andrà comunque aiutata. Siamo una comunità e una comunità deve stringersi sempre in queste situazioni». «Non significa minimizzare – ha aggiunto –, ma sono vite e ogni vita va accompagnata a viversi». Il Parroco ha annunciato che «come comunità cristiana risponderemo con la fede, con una veglia che organizzeremo».













