
Commento al Vangelo del 14 settembre 2025,
Esaltazione della Santa Croce
Gv 3, 13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Parola del Signore.
A cura di don Davide Larcher
La Chiesa, in questa domenica, sosta di fronte al mistero della Croce. Si commuove e si meraviglia nell’esaltare quel patibolo di legno che sull’altura del Golgota doveva chiudere il fastidioso capitolo di Gesù di Nazareth, e che invece è stato pervaso da una forza così grande da renderlo ponte fra cielo e terra, fra uomo e Dio, fra la vita di quaggiù e l’eternità del cielo. Di quella croce non esaltiamo il legno, i chiodi o il sangue; ma l’Amore che li ha trapassati. Non celebriamo la crudeltà del mondo, ma la risposta di Dio al buio dell’umanità. Non avrebbe senso una croce senza Gesù, così come non sarebbe comprensibile il mistero di Gesù senza la croce. C’è da dire, infatti, che viviamo un tempo in cui la croce è rimasta spesso senza Cristo. Siamo circondati da notizie tragiche, e dal dolore che sgorga in particolare in alcuni angoli della terra dove l’uomo ha smarrito la bussola della fede e semina orrore e distruzione, dove l’umanità non conosce più Gesù ma conosce il peso della sofferenza, e non sa più come redimerla. È un mondo dove si soffre da soli, dove il dolore è assurdo e senza senso. La croce vuota è una ferita che non si rimargina, una domanda che non trova risposta, una sofferenza che non fiorisce; non è un ponte, ma un muro. La vita diventa così un tribolato episodio senza senso, e la morte solo la fine.
C’è chi pensa che la croce di Gesù sia un’ingombrante e opprimente reliquia del passato che deve essere eliminata perché la società possa finalmente spiccare il volo della libertà e della felicità. Ma la storia e le evidenze smentiscono tutto ciò: Gesù è cancellato dai più, ma la croce del mondo rimane, dolorosa e insanguinata, e fa malissimo. Anzi, l’uomo che doveva liberarsi è ancora più oppresso dalla sua ordinaria follia. Ma come esiste il pericolo di una croce senza Gesù, così esiste il pericolo nella fede di Gesù senza la croce. Forse questo è il pericolo più sottile: volere un Gesù che applaude, che accomoda, che non disturba né chiede. Una fede che non conosce la fatica del sacrificio e della conversione, che non arriva ad amare fino alla fine, ma solo fino a quando non c’è nulla da perdere. Un Gesù che consola, ma non salva; che parla, ma non redime; che ti ama, ma non ti corregge.
Ma l’amore vero non fa conti, si spinge fino allo svuotarsi completamente per amore dell’altro. Leggiamo infatti nel Vangelo di questa domenica: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Chi vive senza Gesù e senza la sua Croce è perduto.
Spesso intendiamo la nostra fede come semplice presa di coscienza dell’amore di Dio e della salvezza. Ma credere in lui domanda non solo un’opera intellettuale, anzi: domanda anzitutto sequela ogni giorno, domanda una fede operativa, coraggio; domanda di saper far fiorire il dolore dell’uomo concreto, non solo della sua coscienza.
Gesù senza Croce è solo un saggio, l’ennesimo. Non Dio. Senza la Croce l’amore si svuota e diventa semplice emozione, non sacrificio; diventa idea e non carne. Nel segno della Croce ci è dato il senso di tutto: della vita, della fede, dell’amore. Ecco perché la esaltiamo.
don Davide Larcher