Testimonianze dal carcere a cura della Cappellania penitenziaria
Una nuova rubrica
Carcere, prigione, galera, gattabuia, gabbio, penitenziario etc.; diversi sono i nomi, ma la sostanza è sempre la stessa: un luogo di sofferenza, di tristezza, di violenza inferta e subita. Nessuno di noi vorrebbe avere a che fare con una realtà simile, meglio starne alla lontana. Parafrasando le parole di Natanaele nel vangelo: “Dal carcere può mai venire qualcosa di buono?” Ma a volte, dalle sbarre, quando uno meno se l’aspetta, filtrano dei raggi di luce, di speranza e di bene, tanto più sorprendenti quanto più improbabile è il luogo dal quale essi provengono. Questa nuova piccola rubrica mensile curata dalla Cappellania penitenziaria dell’Arcidiocesi di Udine vuole far conoscere alcuni di questi sprazzi di luce: fatti, episodi, piccoli ma significativi, perché possano illuminare i nostri momenti “no”, quando tutto ci sembra buio. Perché ci ricordino sempre che: “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”.
«Non hanno più vino!»
«Per il vino non preoccuparti, Bruno: ci penso io!».
Bruno è il volontario che da trent’anni viene regolarmente in carcere a Tolmezzo per animare le celebrazioni, guidare i rosari etc. Tra le varie incombenze che svolge, ha anche quella di “buttare un occhio” sulle necessità della cappella: ostie, vino… perché non manchi l’occorrente per la Messa.
Quella che si avvicinava non era una Messa qualsiasi: sarebbe venuto a celebrarla l’Arcivescovo: era quindi ancor più importante preparare bene ogni cosa. A portare il vino ci avrei pensato io. In verità ce n’è sempre una piccola scorta in cappella, ma meglio essere previdenti.
Viene il giorno fatidico. Porto il vino in borsa, nel solito flaconcino di plastica. Appena entrato nel complesso del carcere, apro la borsa per prendere non so più cosa e… puff, esce fuori il flaconcino, che cade a terra e si fora. Il vino comincia a scorrere inesorabilmente e in breve il contenitore si svuota. “Beh – penso – pazienza! Vorrà dire che useremo quello di scorta in cappella”.
Entro in cappella e la prima cosa che noto è la boccettina che custodisce il vino, vuota, posata a testa in giù sulla credenza. Bruno aveva pensato di svuotarla e sciacquarla proprio quella mattina… tanto ci avrei pensato io a portare il vino…!
Come facciamo? Senza vino niente Messa. Impossibile uscire dal carcere e andare a cercare l’occorrente in città. Chiediamo ad un agente, ma ovviamente risponde che no, non hanno del vino. Però un altro agente ci viene in soccorso: i detenuti ai pasti ricevono del vino da tavola, quello in piccole confezioni di tetrapak («Basta che sia vino, l’Arcivescovo si accontenterà!»). Detto, fatto. L’agente ci porta la mini confezione da una delle sezioni dei detenuti e la celebrazione è salva.
Al pomeriggio, nell’incontro settimanale con i detenuti, riferisco loro l’accaduto e li ringrazio per aver salvato la Messa. Ed ecco brillare da due di loro due improvvisi raggi di luce che mi investono e mi commuovono:
Andrea: «Padre, è così che doveva essere: il vino per la Messa deve venire da dentro, da qui, da noi, non da fuori».
Nicola: «Padre, è giusto così, quel vino è come se fosse il nostro sangue, che poi si unisce al sangue di Gesù nella Messa».
Benedetta boccettina vuota!
P. Claudio Santangelo C.M.
Cappellano
Casa circondariale di Tolmezzo