Nonno, una delle parole più dolci del dizionario, due lettere che giocano allegre ai quattro cantoni; non-no, la lingua bussa due volte al palato, due sillabe solenni come un “Te Deum” e tenaci quanto il richiamo di un “muezzin”. Questa parola racchiude in me un universo di felicità. Ci ho riflettuto in questi giorni in cui ricorre la “Giornata mondiale dei nonni e degli anziani” voluta da Papa Francesco nella quarta domenica di luglio di ogni anno.
Non dimenticherò la prima volta che Martino l’ha pronunciata sotto un tiglio, accanto a un’altalena; incredulo gliel’ho fatta ripetere, ho chiesto conferma a una signora seduta sulla panchina, senza alcun pudore ho lasciato andare lacrime di meraviglia e tenerezza; la signora si è per un attimo preoccupata, Martino ne ha fatto invece un eterno ritornello.
Come non dimentico ogni saluto di Elena: si arrampica su di me, io scendo ad assecondarne la salita, mi schiocca un bacio pieno sulla fronte, una benedizione che mi accompagnerà fino al prossimo incontro, nell’animo un perenne senso di gratitudine alla vita. Scendo le scale vestito di felicità, come sa esserlo solo un bambino.
Per non dire della fiducia totale racchiusa nei loro sguardi e nel tenermi per mano, che nessuno, oltre ai figli, mi ha mai dato né chiesto, che risveglia e accelera la chimica del cuore e di certo non si può tradire. Oppure quando mi sorprendo a fissarne i tratti e i moti del viso, confidando di trovarvi qualcosa di mio, che mi sopravviva nel tempo.
Possono sembrare reazioni esagerate. Ma non a chi conosce i fuochi d’artificio, il magma caotico della “nonnità”, così definiscono questa fase della vita: inattesa, perché non è una tua scelta, gratuita, ricca, quanto ricevi è di molto più grande di ciò che dai.
E arriva, secondo me, nel momento opportuno, a colmare un vuoto, che non sapevi di avere, un desiderio, a cui non riuscivi a dare un nome. Ti sorprende proprio quando il tempo che immagini davanti a te è decisamente più breve di quello alle spalle e il corpo si appesantisce e perde in vigore; mescoli così la tua fragilità con la loro in un rapporto autentico e forte di reciproco riconoscimento e di empatia, che ti restituisce energia e senso.
Un mestiere non facile fare il nonno oggi, lo chiamo mestiere in senso nobile, come quello di genitore e di insegnante. Le modalità di esercitarlo sono quasi tutte da reinventare, i modelli di un tempo ormai vuoti e sorpassati, una continua ricerca di equilibrio e di misura tra emozioni da contenere, pensieri e necessità divergenti.
Essere permissivo e accomodante o ribadire regole e limiti? Rimanere iperprotettivo e costretto dall’apprensione o responsabilizzare, consentendo occasioni di scoperta? Assecondare giochi e fantasie o far prevalere le proprie conoscenze?
Mi aiuta molto il sentirmi parte di una piccola comunità, ogni figura col suo ruolo, che ha a cuore la crescita dei miei nipoti e la fiducia che nutro in loro, con la consapevolezza che ogni compito educativo si fa sempre più complesso e il futuro che li attende è sempre più inquietante.
Lo psicologo Duccio Demetrio ci suggerisce: “Assaporate il vostro mestiere di nonna e di nonno attraverso tutte le possibili dimensioni della maturità, concedendovi di essere al tempo stesso: un bambino che ha conservato la voglia di giocare, di ridere, di emozionarsi e di vedere il mondo con la freschezza dei più piccoli; un adulto razionale con un forte senso di realtà e creatività; un anziano ricco di esperienza, di capacità di ascolto e di disponibilità ad aiutare le generazioni future nel loro processo di crescita”.