La questione degli accessi inappropriati al Pronto Soccorso (Ps) è ancora al centro dell’attenzione. Sul tema, l’interpretazione dei dati non è sempre univoca, ma corrisponde al vero il lieve incremento di accessi nei Ps di AsuFc negli ultimi tre anni. Ritenere che la gran parte degli attuali accessi inappropriati debba essere affrontato esclusivamente sul territorio è irrealistico, ma è ormai ineludibile che almeno una parte di questi casi debba trovare risposte e soluzioni alternative all’ospedale.
Pensare che la risposta alle urgenze minori possa essere fornita dal proprio medico di Medicina generale (Mmg) non è, nella situazione attuale, realistico. È vero che la Medicina di gruppo integrata (Mgi) durante le ore diurne dovrebbe consentire un contatto, se non con il proprio Mmg, almeno con uno dei professionisti che risultano far parte dello stesso team (elenco e recapiti si trovano sul sito aziendale), ma questa opzione, spesso, non sembra percorribile quando sia necessaria una valutazione urgente o in tempi molto brevi.
Sono stati resi pubblici dati che rivelano un numero di contatti dei Mmg, con 1300-1500 assistiti, intorno ai 70-80 al giorno. La maggioranza non è rappresentata da visite in ambulatorio o a domicilio, ma sembra avvenga utilizzando gli strumenti di comunicazione digitale (WhatsApp, e-mail). Il telefono, in assenza di una segreteria, è un mezzo di difficile gestione durante l’orario di ambulatorio. Peraltro, il contatto digitale non garantisce la sincronicità (il medico può rispondere al paziente anche ore dopo che il messaggio è stato inviato) e quindi non consente di dare una risposta solerte alla urgenza percepita come tale. Anche il sistema, che si va diffondendo, della prenotazione della visita ambulatoriale rischia di essere fonte di tensione fra assistiti e curanti, se non utilizzato in modo flessibile, consentendo – almeno per alcune problematiche – un accesso, se non in giornata, almeno nelle 24-48 ore seguenti. Non si può infine trascurare che i cittadini che più frequentemente presentano un problema di salute, spesso aggravato dalla solitudine, fanno parte delle fasce di età meno abituate ad utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione.
A fronte di queste reali difficoltà di comunicazione con il proprio Mmg, l’ipotesi di recarsi in Pronto soccorso si fa concreta, pur nella consapevolezza di utilizzare impropriamente un servizio destinato alle urgenze gravi/vere, mettendo in conto anche di dover attendere ore per la inevitabile precedenza assegnata ai pazienti con problemi più seri.
Quanto descritto rappresenta una situazione emblematica in cui, nonostante il gran numero di contatti rivolti al Mmg, domanda ed offerta hanno difficoltà ad intercettarsi efficacemente.
In prospettiva, la attivazione (entro il 2026, in tutta la Regione) del numero unico europeo (NUE) 116117, operante nelle 24 ore, dedicato alla gestione delle urgenze minori, costituirà un primo passo avanti: il paziente dovrebbe ottenere indicazioni sul da farsi da parte dell’operatore (non sembra scontato però che questo numero possa disporre, nella rete dei propri contatti, anche dei riferimenti dei Mmg).
Le Case della Comunità, che dovrebbero svolgere anche questo ruolo, non saranno operative in tempi brevi e, perché funzionino, dovranno essere affrontati i nodi della carenza di personale infermieristico e della disponibilità dei Mmg, non ancora ben definita dagli accordi collettivi nazionali (Acn) e/o da quelli integrativi regionali (Air), e del raccordo operativo con i servizi sociali.
In questo scenario, ci sono alcune esperienze che potrebbero essere prese in considerazione. In Emilia-Romagna sono attivi i Cau (Centri di assistenza e urgenza, affidati prevalentemente a medici in formazione che hanno seguito uno specifico corso) con accesso diretto, apparentemente graditi ai pazienti, ma messi in discussione dai sindacati della Medicina generale. La Regione Emilia-Romagna sta ridefinendo il ruolo e la distribuzione di questi “punti di erogazione”.
Gli accordi collettivi nazionali dei Mmg prevedono da tempo soluzioni organizzative (le Uccp: Unità di cure complesse primarie) che aggregano più professionisti in una unica sede, punto di riferimento per i cittadini di un’area di alcune migliaia di abitanti anche per le urgenze: queste esperienze sono state realizzate però in modo molto sporadico. Più realistica sembra la soluzione adottata in Veneto seppur solo in parte del territorio – che prevede una Medicina di gruppo con i Mmg che, mantenendo l’attività nei loro ambulatori, assicurano a turno, dalle ore 8 alle 20, la presenza in una sede centrale, affiancati da infermieri, da personale di segreteria e dotati dalla tecnologia di base (elettrocardiografo, ecografo, laboratorio di base…) utile per una valutazione clinica più approfondita. Nella nostra Regione i Punti salute di Comunità, collocati nelle aree interne, potrebbero essere le sedi in cui sperimentare queste soluzioni.
L’obiettivo da perseguire è rispondere nel giro di poche ore al cittadino/paziente che avverte un problema di salute come urgente. Non si può attribuire ai cittadini la responsabilità del ricorso inappropriato al Pronto soccorso quando, come “sistema salute”, non siamo in grado di fornire una alternativa credibile ed efficace.