Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
Opinioni

Quegli undici sacerdoti martirizzati in Istria

di Mario Ravalico

Febbraio, il mese del Giorno del Ricordo. La legge che istituisce questa particolare ricorrenza, ci riporta immediatamente alla memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra. Ma la legge, già nel titolo, richiama anche un’altra realtà: la più complessa vicenda del confine orientale.

Quest’ultima attenzione può sembrare quasi un’aggiunta, ma non lo è; invece è un doveroso richiamo a ricordare tutto quanto in quel periodo successe lungo il confine orientale. E, tra queste vicende, non possono essere dimenticate tutte quelle azioni persecutorie perpetrate, nelle diverse fasi del lungo dopo guerra, dai partigiani titini, dai nazisti e dai così detti poteri popolari.

L’obiettivo, lo sappiamo, era quello di colpire coloro che potevano essere ostacolo al disegno annessionistico dei nuovi padroni e anche alla loro ideologia atea; tra questi, più a rischio era il mondo della scuola, educatori e insegnanti, e la Chiesa cioè vescovi, sacerdoti e religiosi. Colpirò i pastori: era questo l’imperativo a quel tempo.

Ecco, proprio su questo aspetto fermo la mia riflessione: la persecuzione alla Chiesa nei suoi rappresentanti ai vari livelli, i vescovi prima di tutto che in Istria, a Fiume e in Dalmazia erano considerati rappresentanti di una potenza straniera: il Vaticano. Perciò da perseguitare e da combattere, con l’intento di staccare le Chiese locali da Roma, per creare una nuova Chiesa nazionale, più facile da manovrare. Ma non vi riuscirono.

Certo, i soprusi, gli spionaggi, le delazioni, le persecuzioni, le carcerazioni di tanti sacerdoti e religiosi, erano all’ordine del giorno, fino ad arrivare all’uccisione. Solamente in Istria i sacerdoti uccisi furono una dozzina, senza contare quelli delle Diocesi vicine. Una lunga e dolorosa serie di veri martiri che iniziò con don Angelo Tarticchio (1907-1943), ucciso ottant’anni fa, per continuare fino al martirio del giovane don Miroslav Bulesic (1920-1947), della diocesi di Parenzo e Pola, che il 28 settembre 2013 la Chiesa dichiarò Beato, martire, ucciso in odio alla fede.

Don Miroslav Bulesic come don Francesco Bonifacio, sacerdote della diocesi di Trieste e Capodistria: la stessa sorte a quasi un anno di distanza l’uno dall’altro, uno italiano e uno croato, ma uniti dalla stessa fede.

Don Francesco era nato a Pirano il 7 settembre 1912; in una famiglia numerosa, povera ma ricca di fede. Giovanissimo entrò in seminario a Capodistria per poi proseguire gli studi teologici a Gorizia. Il 27 dicembre 1936 venne ordinato sacerdote a Trieste, nella Cattedrale di san Giusto, la stesa in cui il 4 ottobre 2008 venne beatificato.

La sua vita sacerdotale e il suo ministero pastorale furono brevi, solamente 9 anni, tutti spesi a servizio del suo popolo: i primi due anni a Cittanova, gli altri sette a Villa Gardossi, oggi Crassiza: una sperduta cappellania all’interno dell’Istria, nel territorio di Buie.

Scriveva don Francesco nel suo “diario segreto”: Omnia cum Deo, in Deo, pro Deo, vivere in profonda comunione con il Signore, nulla anteponendo alla conoscenza, per vivere di Lui, in Lui, con Lui. Questo il programma della sua vita spirituale ma, insieme, vivere in profonda comunione anche con i fratelli. A Crassiza, don Francesco visse il tempo della guerra, le vicende conseguenti all’armistizio, l’occupazione della sua terra da parte dei nazisti con tutto ciò che ne era conseguito; infine la lotta partigiana, la presa del potere da parte dei Poteri Popolari, eredi dei partigiani comunisti di Tito. E don Francesco, in tutte le vicende più dolorose di quel tempo, fu sempre accanto alla sua gente. Dove c’era bisogno di lui, non si risparmiava anche a costo della vita. Anteponeva la sua missione e gli insegnamenti del Vangelo al di sopra di tutto. Don Francesco fu per Villa Gardossi come un raggio di sole dopo una notte tempestosa. Sembrava strano, più il pericolo aumentava, più la fede si rafforzava. Così lo ricordava una signora che, a quel tempo, era una delle ragazze dell’Azione Cattolica di Crassiza.

Poi, l’11 settembre, sulla strada tra Grisignana e Crassiza, mentre faceva ritorno alla sua canonica, don Francesco andò incontro alla morte. Con un tranello venne arrestato e poi fatto sparire nel bosco. Il suo corpo non venne mai ritrovato ma si sa che, durante il suo doloroso martirio, egli pronunciò – come Gesù sulla croce – per ben tre volte parole di perdono verso i suoi uccisori.

Ecco, anche questo va ricordato nel Giorno del Ricordo, perché fa parte della storia del confine orientale, della nostra storia, una storia che deve essere conosciuta non solo dal popolo dell’esodo, ma ancora di più dalle nuove generazioni. Non per rivangare risentimenti, odio e vendetta, quanto piuttosto, con il cuore riconciliato, ritessere tutti insieme il grande drappo della storia che le vicende belliche e la cattiveria degli uomini, impregnati di nazionalismi e di ideologie malsane, hanno strappato.

 

Articoli correlati