È Red Canzian, dal 1973 voce e bassista dei Pooh, il protagonista dell’edizione 2025 degli “Incontri di speranza”, organizzati dalla Parrocchia di Artegna. L’appuntamento è giovedì 9 ottobre, nel Teatro mons. Lavaroni, alle 20.30. Canzian, in dialogo con Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire, parlerà della sua vita, a partire dal suo ultimo libro intitolato proprio “Centoparole. Per raccontare una vita” (Sperling & Kupfer). L’incontro, che ha il sostegno del Comune di Artegna, è inserito nell’ambito delle iniziative per il Giubileo della Speranza. E non è un caso. «Il libro che ho scritto – ci racconta l’artista – è pieno di speranza. Esprime il mio modo di guardare sempre in avanti e considerare il futuro, seppur incognito, un luogo, appunto, di speranza, nel quale ritrovare la strada per realizzare tanti progetti. Tutte le volte che nella mia vita ho avuto dei problemi ho sempre pregato e ho sperato che le cose potessero risolversi e la vita andare avanti. Credo che il famoso detto che la speranza è l’ultima a morire sia saggio. Sperando, istintivamente, ci metti anche del tuo, non resti passivo ad aspettare. Sei tu che devi essere il locomotore della tua vita».
Nel libro, quando lei rievoca le notti insonni in ospedale dopo l’intervento al cuore che ha subìto nel 2015, ricorda una bella frase che allora diceva a se stesso: “Nessuna notte sarà così lunga da impedire al nuovo giorno di arrivare”. Cosa le ha insegnato a sperare e sorridere sempre?
«A sorridere sempre mi ha insegnato mio padre, che non aveva grandi motivi per sorridere eppure riusciva a farlo e lo faceva bene. Ancora oggi incontro gente che se lo ricorda, mio padre, proprio per il suo sorriso, per il suo modo di essere conviviale e sempre aperto a chi incontrava. Sorridere aiuta, aiuta ad aprire tante porte. In notti insonni come quelle che ho trascorso in terapia intensiva la vita ti cambia e tu cambi. Cambi modo di vederla questa vita, ritrovi il valore delle piccole cose che sono quelle che fanno la differenza nella vita di un uomo».
Accennava alla preghiera. Qual è il suo rapporto con la fede?
«Con la fede ho un mio rapporto personale importante. Quando sono stato male, anche nel 2022 (ha rischiato la vita per un’infezione ndr), avevo un mio modo di pregare internamente, di ascoltarmi: mi chiudevo quasi in posizione fetale nel letto e stavo in silenzio a respirare, ad ascoltare il mio cuore e a pregare. La fede e la preghiera in generale aiutano a ritrovare un equilibrio interiore, anche fisico, non solo psicologico».
Cosa l’ha spinta a scrivere “Centoparole. Raccontare una vita”? Ha voluto fare una sorta di bilancio?
«No, il libro non vuole essere un bilancio, ma un modo per stimolare il lettore a riflettere sulla propria vita. Io racconto soltanto dei pezzetti della mia, legati a una parola. Se da quella parola può scaturire uno stimolo di riflessione allora avrà avuto un senso scrivere. In effetti ho trovato moltissima gente che mi ha detto: “Sai, quella parola mi ha fatto bene, leggendo ho sbloccato dei problemi che avevo”. Ecco, questa è la cosa più bella per me».
Nel libro racconta anche di quando, nel 1973, lei venne scelto dai Pooh per sostituire, come bassista, Riccardo Fogli. Com’è stato l’incontro con il gruppo?
«È stato innanzitutto un momento di incontro tra persone che avevano le stesse origini: venivamo tutti e quattro da famiglie non ricchissime, famiglie di operai. E avevamo tutti e quattro lo stesso sogno. La cosa straordinaria dei Pooh, che l’anno prossimo compiono 60 anni di attività, è proprio il fatto che quattro ragazzi hanno convissuto all’interno dello stesso sogno come raramente succede. Di solito, infatti, le band si sfasciano proprio perché i sogni prendono direzioni diverse. Quindi sì, sono entrato nei Pooh proprio per un incontro umano tra persone, non per come ho suonato nel provino che mi hanno fatto. Certo loro mi conoscevano come musicista, mi avevano chiamato perché sapevano come suonavo, sebbene fossi un buon chitarrista e non avessi mai suonato il basso. L’importante, però, era umanamente trovare la persona che potesse avere lo stesso tipo di ispirazioni, anche di esperienze musicali, che avevano loro. In realtà venivamo tutti da esperienze diverse che però messe insieme potevano dare un buon risultato».
È l’amicizia, quindi, che via ha tenuto insieme per tanti anni?
«Di sicuro non sarebbe bastata la musica a farci arrivare fin qua, o le belle canzoni scritte, o l’impegno. L’amicizia ha sistemato tanti problemi che, come in tutte le convivenze, sono sorti».
I Pooh sono amati da generazioni diverse. Come siete riusciti a mantenervi in sintonia con i cambiamenti del pubblico?
«Essendo parte del pubblico. Noi ci siamo sempre mescolati tra la gente, non abbiamo mai vissuto in un altro modo. È stando in mezzo alla gente che capisci cosa vuole la gente».
Una delle “Centoparole” del libro è “Domani”. Come vede il suo domani, il futuro?
«Il futuro è un bellissimo spazio nel quale non abbiamo alcuna certezza, ma nel quale possiamo riporre le nostre speranze. Ecco che ritorna la parola speranza… Il mio domani lo vedo come un bellissimo magazzino pulito dove ho parcheggiato i miei sogni e spero che a qualcuno di questi spuntino le gambe per farlo camminare da solo».
Un sogno per il futuro?
«Intanto continuare a fare il mio mestiere. Poter invecchiare col sogno che avevi da bambino credo sia una cosa che non capita a tutti. Quanto ai “progetti nel cassetto” ne abbiamo tanti. Anche se devo cominciare a calcolare che alla mia età i progetti a lunga scadenza è meglio non farli più».
In realtà nel libro scrive che questi calcoli lei non li fa.
«È vero, mi è impossibile farli perché io vivo di entusiasmi. Quindi i calcoli non li faccio. Però a 73 anni, beh, sarebbe meglio quanto meno non fare un progetto a 20 anni».
Allora un progetto a corta scadenza: cosa attende i Pooh nel 2026?
«Il festeggiamento di una carriera lunga sessant’anni. E andremo tra la gente per onorare la nostra musica e la nostra amicizia».
Stefano Damiani