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L'editoriale

Ricchezza e giustizia

Lo spettro della povertà, da qualche tempo, torna a intimorire le progredite società occidentali, mentre come atroce realtà mortifica già da secoli ampie parti dell’umanità; intanto, la mira a ricchezze strategiche smuove conflitti sanguinosi e innesca guerre finanziarie a colpi di aggressioni commerciali, dazi e speculazioni. Il rapporto degli esseri umani con i beni di questo mondo è sempre, anche nell’ora presente, un banco di prova drammaticamente serio per i popoli e per i singoli, che svela cosa c’è nel cuore umano.

Non che le ricchezze siano un male, in sé.

Indubbiamente, prima di tutto i beni della terra e le risorse dell’uomo, a partire dalla sua conoscenza, dal suo ingegno e dalla sua capacità di lavoro, costituiscono una grazia, un vero e proprio fattore di sviluppo nella vita delle persone, delle famiglie, dei paesi e dei popoli. Senza alcune condizioni indispensabili – ad esempio l’accessibilità all’istruzione e ad una occupazione dignitosa – come può una persona realizzare la propria vocazione? E se le nostre attività non portassero frutti, se non generassero qualche remunerazione e qualche ricchezza, ma al contrario andassero di male in peggio causando rovina e insicurezza, potremmo forse considerarle attività sane? Pensiamo poi a quanto, nella storia del mondo, gli scambi di merci e di servizi sono fenomeni attraverso o accanto ai quali anche i contatti tra le culture e perfino tra le religioni hanno viaggiato. E che ne sarebbe della ricerca, dell’avanzamento tecnologico o anche medico e terapeutico, se mancassimo di investire risorse adeguate in imprese del genere che hanno il supremo fine di liberare l’uomo da alcune piaghe che lo affliggono? Nemmeno le arti fiorirebbero senza ricchezze, e la condivisione e la fraternità sarebbero più povere se spartissimo soltanto povertà. Ricchezza vuol dire, dunque, prima di tutto un bene a disposizione per fare tanto bene. Eppure, non è sempre così.

E infatti, davanti a cinquemila uomini affamati e stanchi a sera, il Signore rimase sorpreso dalla resistenza dei suoi apostoli, invitati a mettere a disposizione di tutti quel che nascondevano; non sarà stato granché, d’accordo, ma rimasero svergognati da un ragazzino che con generosità – e forse poca abilità nei calcoli matematici, per fortuna – mise in mano a Gesù i suoi cinque pani e due pesciolini. Da quella condivisione scaturì una nuova economia della ricchezza. E quando il Signore si trovò a raccontare di un povero di nome Lazzaro, che visse e morì di stenti sulla porta di un ricco – e di tutti i suoi ospiti – i quali, evidentemente, non lo vedevano e avevano scavato un fossato invalicabile tra loro e lui? Dunque, la ricchezza può fare tanto male. Perché?

Sono le patologie del cuore umano a trasformarla in una sciagura o in uno scandalo: l’avidità – cioè la brama sregolata di beni –; l’avarizia – una vera idolatria di quel che si possiede, contraria a ogni condivisione –; la ricerca della ricchezza attraverso mezzi insani – il furto, la corruzione, il gioco d’azzardo, l’assistenzialismo passivo e attivo, in generale la ricerca di un aumento del bene disponibile senza passare attraverso una giusta attività umana –; lo sfruttamento indiscriminato e spesso inquinante delle risorse della terra; e infine, più odiosa di tutte, il rinnegamento della dignità delle persone, specialmente approfittando della loro condizione di fragilità – l’usura (sui debiti di un povero o su quelli di un intero popolo) e l’inadeguata o mancata remunerazione del lavoro –.

Davati alla ricchezza la coscienza si misura con domande formidabili, sulla giustizia e su cosa riteniamo davvero che abbia valore in questa nostra esistenza interessante e squinternata. Dobbiamo forse cominciare ogni valutazione dalla prospettiva che impariamo nel Padre Nostro, quando rammentiamo d’essere dei debitori, radicalmente, costitutivamente: di tutto il bene che abbiamo a disposizione nella nostra vita siamo debitori e – a ben guardare – non padroni ma amministratori.

Applicando questo principio con ingegno, la storia dei cristiani sulla faccia della terra è stata coraggiosa, creativa e straordinariamente benefica per tutti: una storia piena di uomini e donne che hanno elargito patrimoni immensi, piena di monti di pietà, di xenodochi per forestieri assistiti gratuitamente, di ospedali e di scuole, di casse rurali e di latterie, di cinema e di piccole imprese, di riscatti sociali, di Solidarność e se occorre anche di martiri che hanno difeso i poveri e la libertà. Tutto ciò è ancora oggi parte significativa del nucleo sano dell’economia nelle nostre comunità. Abbiamo la stessa generosità e la stessa creatività coraggiosa con cui per generazioni il mondo cristiano ha benedetto il mondo?

Se poi volgiamo lo sguardo all’imbarazzante situazione odierna del pianeta, dovremmo rammentare come la pace duratura voluta dal progetto mondiale del 1945, in vista dell’istituzione delle Nazioni Unite, doveva fondarsi su quattro grandi pilastri: la supremazia del diritto internazionale; un efficace sistema sovranazionale di soluzione pacifica dei conflitti; la pacifica e sincera armonizzazione delle finanze e degli scambi commerciali nella ricerca dello sviluppo di tutti i popoli; l’incoraggiamento degli scambi culturali tra le genti. Ebbene, assistiamo al tradimento sostanziale di tutti e quattro i pilastri suddetti: è evidente che il modello di sviluppo attuato nel mondo esiga una revisione profonda.

Ecco perché, nella montagna della nostra Chiesa friulana, a Illegio – un luogo emblematico, che ha reagito al possibile declino con un’idea missionaria e imprenditoriale, per ragioni di fede e di speranza –, si raccolgono quest’anno spettacolari opere d’arte in una mostra dedicata alla ricchezza: non è per dilettare i sensi, ma per svegliare le coscienze. Questa pagina friulana di bellezza è scritta da chi adora il Bambino deposto nella mangiatoia e il Re dei re appeso nudo a una croce. Non è un caso: il giusto peso e il giusto fine dei beni di questo mondo appare molto più chiaro a chi conosce l’immensa ricchezza della vita di Dio, che in Cristo ci viene donata e che è l’origine di una nuova fraternità. Rimettiamo il Vangelo a disposizione della nostra società, anche su questo tema della ricchezza, così nevralgico per il futuro del mondo.

Don Alessio Geretti

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