Santità: una parola di nicchia. Una parola utilizzata poco, perché riservata o per rivolgersi al Papa, o per parlare dei Santi. Ma avvicinandoci – come ogni anno – alla celebrazione di tutti i Santi e alla commemorazione dei defunti, ecco che la si utilizza più del solito; questa potrebbe essere l’ennesima occasione per “passarci sopra” senza consapevolezza, oppure costituire una riflessione decisiva. Parlando della santità dei Santi, percepiamo – forse – il “concetto” lontano, irraggiungibile, riservato solo a coloro che – nella vita cristiana – ci hanno dato un distacco e un sorpasso netti, che ci fanno sentire sempre in svantaggio. Questo perché forse siamo convinti che la santità sia una condizione concessa all’uomo come premio finale. Non è proprio così. La santità è sì un premio, un dono, che non ti viene concesso però alla fine, ma ti viene dato all’inizio, nel Battesimo. La santità non è un risultato dell’uomo, ma è un dono di Dio. O meglio: è il miglior risultato dell’uomo davanti al dono di Dio. Ma c’è dell’altro. Celebrare in questi giorni la santità dei Santi e ricordare i defunti, ci porta con la riflessione dentro a un’altra realtà – per molti – lontana e irragiungibile: è il salto della fede nella dimensione invisibile della vita. E qui si apre come una voragine. Probabilmente è questo uno dei motivi per cui si dà sempre meno importanza ai riti e ai segni di questi giorni, sostituendoli con altro, banalmente reperibile in commercio. Ma per il credente maturato, la realtà invisibile non è sinonimo di inesistente; San Paolo dice: “Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne” (2Cor 4, 18).
Sbilanciare la vita verso la realtà invisibile della nostra fede, non è dunque una fuga dal presente, dalle responsabilità, ma può costituire invece l’inizio di una consapevolezza nuova, dove la speranza diventa quella forza quotidiana che ti fa pensare e agire non con un generico ottimismo, ma con la certezza che ciò che fai ha un significato! Santità è ritrovare questa forza originaria e battesimale che ti spinge nella direzione di abitudini nuove e ordinate, dove percepisci la profonda unità tra tutti i fedeli in Cristo, sia sulla terra che in cielo: per noi cattolici, la Comunione dei Santi. Non un concetto, ma una realtà da scoprire e testimoniare. In che modo? “Non a parole, ma con i fatti e nella verità” direbbe l’evangelista Giovanni. Concretamente, come iniziare? E allo stesso tempo, come arrivarci? Facendo della santità una scelta. Diceva Teresa d’Avila: “la santità non consiste nel fare cose ogni giorno più difficili, ma nel farle ogni volta con più amore”. Togliamo dunque dalla nicchia la parola “santità” e traduciamola, costruiamola, non facendo cose straordinarie, ma facendo straordinariamente bene le cose ordinarie. Dal basso, dalle cose di ogni giorno fatte straordinariamente bene, comprendiamo la santità, rendiamo santo il tempo che abbiamo a disposizione, percepiamo l’orizzonte invisibile della nostra vita e orientiamo ogni cosa e ogni relazione dentro a quella promessa di eternità che già possiamo gustare nella comunione dei Santi e nei Sacramenti celebrati e ricevuti… straordinariamente bene. Qui si apre lo spazio per portarci dentro il lavoro, il ministero, la preghiera, le relazioni…tutto. Ma servono passione, zelo, gusto per le cose belle e fatte bene. Servono non concetti, ma amore e dedizione che ti spingano fuori dal sé; serve un innamoramento di ciò che sei chiamato a fare ed essere. Spesso sono i dettagli a fare la differenza. Proviamo -dunque- a fare straordinariamente bene le cose di ogni giorno: è un buon inizio per camminare con la santità e molte cose “visibili e d’un momento”, saranno l’anticipo e la forza quotidiana di ciò che attendiamo, eterno, stabile, per sempre.













