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«Scegliere parole giuste è un’urgenza culturale». Rosy Russo a Udine sabato 24 maggio

«Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra». Così Papa Leone XIV si è rivolto agli operatori della comunicazione riuniti in Vaticano lunedì 12 maggio. Un tema, quello della cura della comunicazione, molto più dirompente di quanto possa sembrare e tutt’altro che riservato agli “addetti ai lavori”: ogni parola, sguardo, gesto è un atto comunicativo. Peraltro, con un impiego sempre più importante di tecnologie digitali, le quali giocoforza costringono la comunicazione interpersonale nei loro stretti vincoli di utilizzo. «Disarmare le parole per comunicare speranza» è anche il titolo del convegno che l’Arcidiocesi udinese proporrà sabato 24 maggio a Udine (ne parliamo nella colonna a fianco), in vista della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che la Chiesa celebrerà il 1° giugno prossimo. Tra gli ospiti spicca il nome di Rosy Russo, fondatrice di Parole O_stili, il progetto nato nel 2017 per promuovere una cultura del linguaggio più consapevole e responsabile.

Rosy Russo, il Messaggio del compianto Papa Francesco per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali di quest’anno parla di «mitezza». Cosa significa?

«Spesso siamo abituati a considerare la mitezza come ingenuità o “poco carattere”, senza capire invece che è l’atteggiamento di chi, forte della propria speranza, sceglie di avvicinarsi all’altro con delicatezza e pazienza.»

Come si traduce questo aspetto nella comunicazione?

«Per esempio, scegliendo le parole da non dire, consapevoli che quel silenzio aiuterà a disinnescare una tensione. Papa Francesco ha spesso richiamato l’immagine del buon samaritano che “non usa la parola come una lama”, ma accarezza il cuore di chi ascolta, portando la tenerezza di Dio soprattutto a chi troppo spesso rimane ai margini. Per essere concreta mi piace pensare che comunicare (e abitare la rete) con mitezza significa far risuonare in ogni articolo, post o commento questa dolcezza evangelica, contrastando la tendenza a ridurre la comunicazione a slogan o a colpi bassi, o a semplice polarizzazione. E di esempi purtroppo ne abbiamo tanti…»

Papa Francesco e Leone XIV hanno parlato di «disarmare la comunicazione», invitando a essere «testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura».  Una missione difficile… perché insistere?

«Viviamo tempi in cui le parole corrono veloci, dentro e fuori la rete. In questo contesto “disarmare” e “cura” sono parole potentissime che amo particolarmente perché sono dannatamente concrete. “Cura” è una parola che ho sperimentato molto nella vita… È fatta di piccoli gesti, di attenzione vera, di quell’“in più” che cambia il tono di una frase, il senso di un messaggio, il corso di una relazione. Disarmare la comunicazione, invece, significa togliere potere alle parole che feriscono, per eliminare pregiudizi, rancore e aggressività. È un’urgenza non soltanto morale, ma culturale.»

Perché culturale?

«Perché oggi non ci limitiamo più a usare la rete: la abitiamo. E come in ogni luogo abitato, lasciamo tracce. Impronte, anche inconsapevoli, che influenzano il modo in cui gli altri si sentono, si raccontano, si percepiscono.»

A fronte di una sempre diffusa “cattiveria” o superficialità sui social media, molte persone preferiscono abbandonare i propri profili digitali. Scelta legittima, ma a che prezzo?

«Io capisco molto bene chi fa questa scelta, ma deve essere una scelta consapevole. Ritirarsi dai social può sembrare una soluzione, ma significa anche perdere un “luogo” dove la tenerezza di Dio può raggiungere chi vive nel silenzio e nella solitudine. Se uno strumento si usa e una cultura si abita, lasciare la rete equivale a rinunciare a un contesto comunitario in cui seminare speranza, un campo che, se non coltivato con mitezza, rischia di essere occupato da toni di chiusura e indifferenza.»

Tu sei anche coordinatrice del gruppo italiano dei missionari digitali e Papa Leone XIV ha parlato della tecnologia come uno dei «luoghi in cui urge la missione». Cosa significa avere una propria presenza “di fede” sui mezzi di comunicazione?

«Il presupposto è “stare dove stanno le persone”.  Quindi è credere che anche on-line (tra un post, un commento o una chat) ci possa essere un incontro, si possa testimoniare, si possa portare cura. I missionari digitali non sono influencer. Sono costruttori di senso, artigiani di relazioni. E allora sì, la nostra “presenza di fede” si misura nei piccoli gesti: nel tono con cui rispondiamo, nella scelta di non alimentare polemiche, nella capacità di portare luce senza rumore. Come ha ricordato Papa Leone XIV, la nostra chiamata è “narrare la bellezza dell’amore di Cristo” e “disarmare le parole da odio e pregiudizi” per contribuire alla pace nel mondo digitale.»

La versione integrale dell’intervista con Rosy Russo, a cura di Giovanni Lesa, è disponibile nell’edizione del 14 maggio del settimanale La Vita Cattolica.

Partecipazione gratuita. Crediti per giornalisti

La partecipazione al convegno del 24 maggio, con ospite Rosy Russo – come fa sapere l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali – è libera e gratuita. I giornalisti possono ottenere 6 crediti formativi deontologici previa iscrizione sulla piattaforma formativa a loro dedicata.

Per tutti è richiesta una iscrizione on-line sul sito dell’Ufficio per le comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi entro il 22 maggio.

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