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Trabucchi: «La malattia di Alzheimer non cancella la vita»

«L’Alzheimer cancella molte espressioni della cognitività umana, ma non cancella la vita». L’ha detto Marco Trabucchi, professore di Neuropsicofarmacologia all’Università di Tor Vergata e tra i massimi esperti di demenze, aprendo, venerdì 12 settembre, il convegno dal titolo “Il ruolo dei biomarcatori per la diagnosi precoce di demenza”, organizzato dall’associazione Alzheimer Udine e dalla Cooperativa sociale Pervinca, in collaborazione con AsuFc – responsabile scientifico dell’evento, Mariarosaria Valente, direttore della Neurologia dell’Ospedale S. Maria della Misericordia, che ha moderato l’incontro assieme a Iacopo Cancelli, neurologo dello stesso ospedale –, Università e Comune di Udine, nell’ambito della giornata mondiale dell’Alzheimer che cade il 21 settembre.

«Impressionato da come i malati partecipavano alla Messa»

Trabucchi è «la persona che più si è spesa negli ultimi decenni nel nostro paese per promuovere la dignità delle persone con declino cognitivo», ha affermato Gianluigi Gigli, senior professor di Neurologia all’Università di Udine. E proprio dall’attenzione alle persone malate è partito Trabucchi, ricordando la sua partecipazione all’Alzheimer Fest tenutosi nelle scorse settimane a Valdagno, occasione di incontro per medici, ricercatori, familiari, rappresentanti di associazioni ed anche ammalati. «Nel corso della Messa, celebrata dal Vescovo di Vicenza – ha raccontato Trabucchi – c’erano 120 carrozzine con ammalati. Ho guardato i loro volti al momento della Comunione: era evidente che molti non capivano quello che stava accadendo, ma certamente erano attenti a qualche cosa che percepivano essere importante per loro. Ho colto un’intensità di partecipazione che mi ha impressionato. Lo racconto per ribaltare l’idea secondo la quale la persona con demenza sarebbe incapace di relazioni. Invece essa di relazioni ne ha, seppure diverse. L’Alzheimer cancella molte espressioni di cognitività, ma ci accorgiamo che il cuore mantiene ancora qualcosa».

In Friuli-V.G. 27 mila malati con demenza

Attualmente in Friuli-V.G. i malati con demenza sono circa 27 mila. Un numero alto legato anche all’invecchiamento della popolazione. Nella nostra regione, infatti, le persone con più di 65 anni sono ben oltre 320 mila e l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra ultrasessantacinquenni e minori di 15 anni, è di 243,7. I casi attesi di malattia di Alzheimer, in questa popolazione, sono circa il 5%, cioè circa 16 mila. Al momento non esistono farmaci che curano la malattia, ma solo che la rallentano. E in questo i progressi ci sono stati. «Quando ho iniziato a occuparmi di Alzheimer – ha spiegato Trabucchi – tra la diagnosi e la morte passavano dai 2 ai 4 anni, oggi ne trascorrono dagli 8 ai 10».

«Biomarcatori utili per la diagnosi, ma non se ne abusi»

Grandi progressi sono stati fatti anche sul piano della diagnosi con l’utilizzo dei cosiddetti “biomarker”, ovvero l’analisi di tessuti per individuare in essi quelle proteine (beta-amiloide e tau) che indicano la presenza della malattia consentendo una diagnosi precoce, prima della manifestazione clinica, e quindi un avvio altrettanto precoce delle terapie. Se da anni – a Udine dal 2018 – si ricercano i biomarker nel “liquor” encefalico, «sono stati fatti grandi progressi – ha spiegato Trabucchi – anche con i marker plasmatici e stiamo arrivando ai marker salivari. Altro progresso verrà dall’intelligenza artificiale, che ci consentirà di interpretare meglio gli esami di laboratorio assieme alle indagini neuropsicologiche. Tutto questo è importante, però senza perdere il ruolo dei medici». «I biomarker – ha proseguito Trabucchi – non devono essere dei beni di consumo, come sta accadendo in alcuni centri italiani, con il rischio di abusi morali ed economici. Vedo con terrore il fatto che possano diventare esami diffusissimi. C’è il rischio di un’”epidemia” di autoprescrizioni che potrebbe portare a grandissimi scombussolamenti del singolo e della sua famiglia, con rischi di depressione e rifiuto del futuro».
Il problema, ha spiegato il docente, «è che c’è una variabilità nell’accuratezza dei test e alcuni dei prodotti non sono affidabili. Per questo i test non possono fungere da sostituto di una valutazione clinica da parte dei professionisti e possono essere usati solo come parte della diagnosi completa in centri specialistici. Quindi consiglio grande prudenza a noi medici ed anche alle associazioni dei familiari».

Stefano Damiani

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