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Luci tra le sbarre

Un quaderno e una matita, parte 2

a cura del cappellano del carcere di Udine

Cari amici, ci siamo lasciati alcune settimane fa con la promessa del racconto dell’esperienza di testimonianza nella scuola da parte del Comandante della casa circondariale di Udine e di un ex detenuto. Il mondo del carcere, come ho avuto modo di condividere altre volte, è una realtà molto delicata da presentare alla società: pregiudizi, preconcetti e luoghi comuni nel bene e nel male rischiano di condizionare il libero pensiero e un’oggettiva valutazione.

I nostri ragazzi in un certo senso, nel microcosmo della scuola, rappresentano uno spaccato della società, con le sue discrepanze e i suoi punti di forza. Così è stato anche per questo piccolo ciclo di incontri promosso dalla Cappellania penitenziaria. Quando B., ex detenuto, ha incontrato i ragazzi di due classi dell’istituto Malignani, si è creato un clima molto bello di ascolto attento, forse con qualche imbarazzo iniziale, normale vista la situazione. B ha saputo raccontare la sua vicenda con schiettezza, realismo e umanità facendo emergere in modo particolare sia il momento di fragilità per il quale a suo tempo commise un reato, sia la forza di volontà con cui poi si è rimesso subito a lavorare su se stesso, a partire dalle privazioni – in particolare affettive – sofferte durante la detenzione. I ragazzi hanno ascoltato attenti e anche curiosi, rispettosi e ringraziando alla fine della testimonianza per la capacità del ragazzo di mettersi in gioco.

La testimonianza del Comandante, in altre classi, ha suscitato reazioni differenti. La prospettiva di chi sta al comando per garantire sicurezza e ordine e forse la divisa hanno aperto un dibattito estremamente vivace; per la verità in una classe sono emerse considerazioni molto forti (nel modo di porsi quasi maleducate, ahimè…) sul fatto che la giustizia e il carcere sarebbero “troppo poco” e che ci vorrebbe più severità. Vi confido che questa forte polemica ha lasciato in me dell’amarezza, più che altro per l’incapacità dei ragazzi di argomentare e di rispettare non solo l’autorità ma il principio stesso del dialogare civile. Ogni esperienza ha però in sé un insegnamento che può essere mutato in valore e in questa esperienza io leggo il valore della conoscenza. Anche nelle luci ed ombre di queste testimonianze e delle reazioni che hanno suscitato si può così cogliere il tentativo costruttivo di un confronto sulla realtà della giustizia e dei nostri istituti detentivi. Nella convinzione che solo attraverso la cultura e la conoscenza sia possibile allontanare i pregiudizi.

p. Lorenzo Durandetto
Cappellano
Casa circondariale di Udine

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