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Opinioni

Un San Francesco animalista? Non è mai esistito

«Dal tempo in cui la nostra signora maestra, all’apertura della scuola, ci parlava per celebrare la ricorrenza francescana del 4 ottobre, in noi è stata impressa un’immagine sognante e fantastica del Cantico delle creature e del Fioretto del lupo di Gubbio, che costituivano il più delle volte le letture di rito. Dell’interpretazione patetico-estetizzante del Cantico ha fatto giustizia, per nostra fortuna, una fitta schiera di illustri studiosi. Il lupo di Gubbio, invece, stretto fra un ingenuo “positivismo”, presto abbandonato, e una pacata esegesi, alquanto più raramente si è visto aprire orizzonti problematici e articolati.»
La citazione è dal saggio di Gian Paolo Caprettini San Francesco, il lupo, i segni del 1974. Della odierna lettura critica del Cantico ho dato qualche assaggio su queste stesse pagine; quanto al Fioretto del lupo rimando a Caprettini e da parte mia tento qualche considerazione estesa all’intera questione di san Francesco “animalista”.
Come ho a suo tempo sottolineato, tra le creature (lodate? lodanti?) del Cantico non compaiono gli animali; di tale assenza vorrei ora ragionare. Come rilevato da Alfonso Marini nel saggio Sorores alaudae, dagli Scritti di San Francesco «non appare in maniera chiara né massiccia un particolare rapporto con gli animali» ricordati «quasi sempre in forma collettiva, all’interno di un discorso di lode a Dio, che riguarda tutte le creature, animate e inanimate». Dei cinque passi citati da Marini mi piace riportare dalla Salutatio virtutum quello in cui Francesco afferma che in virtù della santa obbedienza l’uomo si sottomette «anche a tutte le bestie e le fiere» e dalla Regula non bullata quello in cui vieta ai suoi fratelli, chierici e laici, di «avere presso di sé in qualunque modo alcuna bestia» e di andare a cavallo, se non per infermità o necessità grave. Lo stesso Marini osserva che l’immagine per eccellenza di Francesco «lo mostra con il libro, non con animali o con qualcuno di essi in particolare; l’animale non è mai caratterizzante il Poverello a livello iconografico.»
Dunque non dagli scritti di Francesco è stato desunto il suo legame col mondo animale, ma dalla leggenda agiografica: una cinquantina di racconti per influenza dei quali, scrive Richard Bergeron, si è fatto di Francesco «il patrono degli scout e degli ecologisti … un sognatore romantico … un mistico panteista… un freak medievale». Nondimeno Bergeron prende le mosse dalle biografie primitive di Francesco (in particolare la Vita prima di Tommaso da Celano e la Legenda maior di san Bonaventura) e dai più tardi Actus beati Francisci (1328) da cui derivano i Fioretti (1380) per proporre le proprie interpretazioni del rapporto tra Francesco e gli animali: una cristologica, una psicanalitica («i rapporti di Francesco con gli animali sono la storia della sua relazione con le proprie bestie»: fratello lupo è lui stesso!), una terza in chiave di exemplum (l’animale obbediente come modello per l’essere umano), una quarta mistico-cosmica, e non è tutto. Interpretazioni discutibili ma che finiscono con l’avvalorare quelle che lui stesso chiama «storie per bambini e adulti» quali testimonianze attendibili della vicenda di Francesco. Di fatto Bergeron, dando credito alla leggenda agiografica, si colloca tra quanti (tanti!) da essa ricavano ciò che più aggrada loro.
Oggi in primis gli animalisti: basta una ricerca online ed ecco San Francesco “patrono degli animali” (spodestando sant’Antonio Abate, tradizionale protettore degli animali da lavoro e ormai anche di quelli di compagnia). Così scriveva qualche anno fa dagli Stati Uniti Lucia Graziano: «Una storica della Chiesa opportunamente equilibrata dovrebbe accettare l’evidenza per cui è così che vanno le cose: le devozioni popolari […] sono fatte per adattarsi ai bisogni della popolazione, sicché è assolutamente naturale che una certa pratica passi di moda e vada a perdersi, o venga soppiantata da qualcosa di nuovo, plasmato sulle esigenze del mondo contemporaneo. Tutto vero, sulla carta. All’atto pratico, temo che io mi metterò in un angolino a piangere nel giorno in cui (lo ritengo ormai inevitabile) anche l’Italia sarà colonizzata da una delle devozioni popolari che mi stanno più antipatiche in assoluto: quella cioè di benedire gli animali il 4 ottobre, in occasione della festa di san Francesco.» Immancabilmente, quel giorno è venuto, in Italia, all’italiana: sulle mutevoli proclamazioni del 4 ottobre come solennità religiosa e civile sembra averla vinta la Giornata mondiale degli animali.
Temo che ormai si possa dire a proposito di san Francesco proclamato (ridotto! ma da chi?) “patrono degli animali” ciò che don Giovanni Croci lamentava a proposito di sant’Antonio: «Oggi, anche in città, per la festa di S. Antonio Abate molti accorrono per la benedizione dei propri animali ed è una cosa bella. Si ha però l’impressione che l’attenzione è più puntata sugli animali che sulla figura del santo», e penso a papa Francesco, alle sue bordate per la “cultura veterinaria”.
E torno al Cantico, che si chiude col richiamo più importante: quello a una “grande humilitate”. Di questo abbiamo davvero bisogno: di una giornata mondiale dell’umiltà…. ma quotidiana!
p.s. Si direbbe che stiamo vivendo un tempo di retroversione religiosa: il cristianesimo delle origini convertì le feste pagane, oggi le feste cristiane vengono ridotte a nuovi saturnali.

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