Tra i fronti caldi di questo 2025 c’è anche il Venezuela. Cresce infatti la tensione con gli Stati Uniti, perché – sebbene da una parte il presidente Donald Trump minimizzi la possibilità di una guerra imminente tra i due Paesi – dall’altra continua a ribadire che i giorni del suo leader, l’autocrate Nicolás Maduro, sono contati. Ad ora, l’unico dato certo è che, dal 2 settembre, i 19 attacchi extragiudiziali compiuti dalla marina militare statunitense nel Mar dei Caraibi hanno distrutto 20 imbarcazioni e ucciso 76 persone.
Guerra al narcotraffico?
L’amministrazione Trump ha giustificato queste operazioni come parte di una strategia per combattere i cartelli della droga, con i quali la Casa Bianca ritiene di essere in un “conflitto armato”. Ma che qualcosa non torni, nella narrazione di “guerra al narcotraffico”, è opinione di molti. «La guerra ai narcotrafficanti – ha spiegato da Caracas al Sir, l’agenzia stampa della Cei, Vladimir Villegas, giornalista del circuito Unión Radio, in passato deputato, viceministro degli Esteri, ambasciatore, prima di rompere con il chavismo – appare come un elemento di propaganda. Solo il 5% della cocaina diretta dal Sudamerica agli Usa passa per il Venezuela (altri studi parlano dell’8%, ma poco cambia, ndr), e tutti sanno che la gran parte transita attraverso il Pacifico». E se è vero che in Venezuela operano gruppi criminali legati al narcotraffico (nel 2024 ha generato un fatturato di 8,236 miliardi di dollari), la maggior parte delle droghe che arrivano negli Stati Uniti — compreso il fentanyl, l’oppioide sintetico citato innumerevoli volte da Trump — proviene dal Messico. Il Venezuela, ricordano gli esperti, non ne produce nemmeno un grammo. Tutto, quindi, farebbe pensare a una campagna di pressione crescente volta a indebolire Maduro e a spingere le élite economiche e militari che ancora lo sostengono ad abbandonarlo. Non a caso, il presidente statunitense ha ordinato alla Cia di condurre operazioni coperte in territorio venezuelano contro i gruppi di narcotrafficanti, rendendo però pubblica la decisione: un segnale chiaro di pressione politica, più che di contrasto al crimine. Intanto il presidente Maduro ha chiesto aiuto alla Russia di Putin e – sembrerebbe – anche a Cina e Iran.
La crisi delle risorse
«Il vero interesse dell’amministrazione Trump per il Venezuela si chiama petrolio – ha aggiunto Villegas –, tanto che finora il canale di dialogo tra Washington e Caracas è sempre rimasto aperto, e la Chevron non ha smesso di operare nel Paese». Guarda alla questione delle risorse anche Alejandro Ortiz, teologo messicano, tra i fondatori della rete Amerindia e studioso di geopolitica. «La crisi delle risorse – spiega – sta orientando l’azione del capitalismo mondiale e, in particolare, degli Stati Uniti. Per il Venezuela si tratta del petrolio e dei minerali, per altri Paesi dell’acqua o del litio. La guerra al narcotraffico mi pare un pretesto. Gli Stati Uniti vogliono riaffermare la nota teoria di Monroe, che definiva “giardino di casa” degli Usa il resto del continente, riguadagnando le posizioni perse rispetto alla Cina».
E rispetto alla ventilata ipotesi di un conflitto, padre Arturo Peraza, gesuita, rettore dell’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas, spera in una soluzione dialogata, «anche se in questo momento mi sembra poco probabile». «Siamo di fronte a due situazioni profondamente illegittime – ha aggiunto Peraza –: da un lato, un governo, quello di Maduro, che non ha voluto mostrare gli atti elettorali dopo le presidenziali del 2024 e ha represso le libere manifestazioni; dall’altra, delle esecuzioni extragiudiziali da parte degli Stati Uniti, contrarie al diritto internazionale, contro persone accusate di essere narcotrafficanti».
Popolazione allo stremo

«C’è grandissima preoccupazione nei confronti di questa tensione crescente – ha raccontato ai microfoni di Radio Spazio, intervistato da Valentina Pagani, padre Francisco Armellini, missionario di origini friulane che opera a Valencia, terza città del Venezuela –. Una situazione che aggrava un contesto già difficile, dove l’iperinflazione (nel 2025 le proiezioni sono del 200%, ndr) sta mettendo in ginocchio la popolazione. Ogni giorno il bolivar perde valore nei confronti del dollaro, è una situazione economicamente terribile. Siamo al punto in cui lo Stato ha dovuto emettere per le famiglie un sussidio alimentare pari a 40 dollari e il cosiddetto “bonus di guerra economica”. Intanto Maria Corina Machado, la principale leader dell’opposizione, che vive in clandestinità e ha appena vinto il Premio Nobel per la Pace, sta chiedendo alla gente di restare tranquilla, nelle proprie case».
Anna Piuzzi













